Heritage

Uno Sguardo Negli Archivi: #ARCHIVIO STORICO SDF

È il 17 maggio del 1959 quando a Cuba viene varata la prima grande riforma agraria del Paese. Sono passati 3 mesi da quando la rivoluzione ha rovesciato la dittatura di Fulgencio Batista e sei anni da quell’appassionata autodifesa di Fidel Castro, arrestato insieme ai suoi compagni dopo il fallito assalto alla caserma Moncada, che si concludeva con la celebre frase “Condannatemi. Non importa. La Storia mi assolverà”. In quel discorso Fidel gridava ai giudici la situazione miserevole in cui versava la popolazione cubana e a proposito dei contadini parlava dei “centomila piccoli agricoltori che vivono e muoiono lavorando una terra che non è loro, contemplandola sempre tristemente come Mosè la terra promessa, per poi morire senza mai giungere a possederla, che devono pagare per i fazzoletti di terra come servi feudali una parte dei propri prodotti, che non possono amarla, né migliorarla, né abbellirla, o piantare un cedro o un arancio perché non sanno se un giorno verrà un funzionario a dirgli che deve andarsene”. La situazione che erediterà sarà pesante: più del 46% della terra è in mano a un pugno di latifondisti con un quarto dell’isola controllato da aziende straniere, soprattutto americane, impera la monocultura – la canna da zucchero, ­– perché l’obiettivo è l’esportazione. Quello che Fidel Castro ha in mente è lo smantellamento del sistema fino ad allora imperante: le proprietà al di sopra dei 405 ettari vengono nazionalizzate e le terre espropriate affidate a singoli contadini o a cooperative con il divieto di venderle, di affittarle o frazionarle. Nel contempo decide un cambio radicale delle coltivazioni incoraggiando la diversificazione e supportandola economicamente e tecnicamente. È in questo quadro che si inquadra il Plan de Arroz degli anni Sessanta, uno sforzo ciclopico per incrementare la produzione di riso: “Entro il 1971 ogni cubano avrà un terzo di libbra di riso al giorno” promette il Líder maximo. Ma per mantenere questo impegno occorrono macchine, trattori soprattutto, e di quelli speciali, adatti all’ambiente di risaia e Cuba non li ha né li produce. I tecnici dell’INRA, l’Istituto Nazionale per la Riforma Agraria, cominciano così a “dragare” il mercato, soprattutto quello europeo, per individuare modelli che poi saranno testati in loco per valutarne l’effettiva performance. Risulterà vincente un trattore italiano dal nome che lascia presagire una certa ostinazione nello svolgimento del lavoro: Ariete.
Una pubblicità d’epoca dell’Ariete.

L’azienda che lo produce si trova a Treviglio: è la SAME, che a capo ha due intraprendenti fratelli, Francesco ed Eugenio Cassani, da sempre innamorati dei motori (e non a caso SAME è l’acronimo di Società Accomandita Motori Endotermici). Sarà questa azienda bergamasca a fornire ben 2.503 trattori alla Cuba postrivoluzionaria contribuendo allo sviluppo rurale del territorio. Se il numero vi impressiona, considerate che nel decennio di produzione dell’Ariete, dal 1964 al 1973, ne vennero venduti più di 7.700 esemplari in 53 Paesi del mondo, Polinesia inclusa, secondo i dati riportati nei registri di produzione dell’epoca che sono conservati nell’archivio storico dell’azienda insieme a disegni e manuali tecnici, a materiali pubblicitari, al listino prezzi e al catalogo dei ricambi.

Negli anni a cavallo tra i Sessanta e i Settanta Same fornì a Cuba ben 2503 trattori Ariete.
Un trattore Ariete al lavoro in una risaia cubana.

Proprio l’Archivio Storico è il fiore all’occhiello di SDF non solo perché è ampiamente digitalizzato e a disposizione della collettività (quasi 50.000 documenti sono consultabili online, con un lavoro di catalogazione che continua quotidianamente), ma anche per la mole impressionante di materiali presenti che coprono l’intera vita produttiva dell’azienda e dei marchi che nel tempo sono entrati nel gruppo: Lamborghini Trattori, Hürlimann DEUTZ-FAHR, Grégoire e Vitibot. Giusto per darvi un’idea: oltre  11.000 fotografie storiche a stampa e diapositive a partire dal 1918, 1.180 filmati istituzionali, commerciali e pubblicitari, 2.400 cataloghi di prodotto, 260.000 disegni tecnici e 9.000 tra manuali d’officina, libretti d’uso e manutenzione e cataloghi delle parti di ricambio (a cui si aggiungono bilanci, dépliant, e cataloghi pubblicitari, calendari, medaglie e riconoscimenti) che vengono consultati non solo da ricercatori universitari, ma anche, questo vale soprattutto per la parte tecnica, da collezionisti che hanno bisogno di informazioni per restaurare i loro mezzi. Senza contare, come ci viene spiegato, che un trattore ha una vita molto lunga, e non è perciò raro ricevere richieste da parte di chi sta ancora usando un determinato modello e lo deve riparare o revisionare. Il documento più antico? Una foto del 1918 dei fratelli Cassani ragazzini insieme alla madre, lei elegantissima, con aria severa e una posa in cui sembra quasi trattenere i due figli che guardano nell’obiettivo seri seri, in mano un cappello già di foggia adulta. Forse a quei tempi non ci si poteva permettere di restare bambini troppo a lungo.

L’Archivio Storico SDF raccoglie 260.000 disegni tecnici, catalogati e raccolti in una sala dell’Archivio.
Uno scorcio dell’Archivio Storico SDF: nella foto sullo sfondo la Trattrice Cassani.

In questo “giacimento storiografico” si trovano autentiche chicche come la rivista 4 Ruote Motrici, l’house organ (oggi si chiamerebbe così, ma ai tempi aveva il più modesto sottotitolo di Giornale illustrato di attualità agricola) di SAME che dal 1966 al 2007 ogni due mesi non solo informava con dovizia di particolari, belle foto e una certa vivacità stilistica circa i nuovi modelli usciti, gli stabilimenti inaugurati, le manifestazioni fieristiche a cui l’azienda aveva partecipato o i premi che aveva ricevuto, ma riportava anche interviste a clienti, agricoltori che raccontavano la loro esperienza con i trattori SAME oppure a personalità note, che in qualche modo avevano a che fare con il mondo dei campi come, nel numero di agosto-settembre 1966, il campione di ciclismo Gianni Motta che “figlio di agricoltori è anche lui innamorato della terra, gli piace coltivare ma gli piace di più guidare il trattore, il trattore SAME a cui è costantemente fedele”.

Prima ancora c’era SAME INFORMAZIONI, una pubblicazione meno “patinata”, ma sempre ricchissima di notizie destinate essenzialmente all’interno dell’azienda: come si legge in apertura del numero di giugno 1964, nelle sue pagine si trovano molte idee, “dalla carica di entusiasmo come condizione essenziale per riuscire negli affari ai consigli utili per vendere i trattori SAME”. Curiosa a questo proposito è un’indagine di mercato, condotta dai ricercatori della Stazione Sperimentale Agraria dell’Ohio in USA, dalla quale si evince, tra le altre evidenze, che “l’opinione della moglie è un elemento di notevole importanza nelle decisioni di acquisto del marito: l’illustrazione di una macchina ha più successo se effettuata in presenza della moglie”. Anche le notizie dal mondo non deludono il lettore curioso: scoprirà così che i signori Yoshikuni Kishida, presidente della Shin-Norisha Co Ltd di Tokyo, pubblicista di riviste di tecnica agraria, ed Eiichi Sumiya, presidente della Santoku Kogyo Co Ltd di nagoya City, produttrice di attrezzature per motocoltivatori, di rimorchi e di fusioni, hanno visitato lo stabilimento SAME di Treviglio rimanendo “molto ammirati dall’ottima organizzazione e dalla solerte disciplina esistente nella fabbrica”. Né gli sfuggirà l’accenno al fatto che “anche nel tipico sfondo Thailandese, la presenza di una mostra di trattori SAME è un avvenimento che riscuote lo stesso vivace interesse di pubblico ed esperti che si nota nelle nostre fiere e mostre”.

Nel periodo cronologico in cui si colloca la storia del trattore Ariete, SAME è già un’azienda di tutto rispetto: nel 1956 era stata inaugurata la nuova fabbrica, 80.000 Mq con un’ambiente unico di officina lungo 250 metri e largo 75, dove coesistevano tre linee di lavorazione, cioè motori, verniciatura e assemblaggio. Ma le sue radici si spingevano molto più in profondità.

Francesco (classe 1906) ed Eugenio (classe 1909) si può dire infatti che nascano tra pistoni e valvole. Il padre ha un’officina specializzata in macchine agricole, un’attività di famiglia che porterà avanti con successo trasformandola da realtà quasi artigianale a una società nella quale la moglie Luigia si occupa dell’amministrazione mentre lui, con la sua grande passione per il disegno industriale, si dedica agli aspetti tecnici del lavoro. I due figli non sono da meno: fin da giovanissimi sono a loro agio in quel mondo che sa di olio e petrolio dimostrando da subito di avere capacità, idee e tenacia. Qualità che li porteranno, non ancora diciottenni, a ideare uno dei primi trattori al mondo con motore diesel, una vera rivoluzione visto che fino a quel momento le macchine agricole funzionavano a petrolio e solo da una manciata di anni quel tipo di motore, brevettato nel 1892 in Germania, veniva utilizzato su mezzi militari e industriali. La Trattrice Cassani verrà presentata qualche anno dopo, nel 1927, al concorso nazionale per la “Trattrice agricola italiana” dove sbaraglierà aziende ben più importanti e blasonate come la mitica Landini e la FIAT. Di essa verranno però realizzati pochi esemplari perché i due fratelli non hanno i mezzi per avviarne una produzione su larga scala: la madre aveva anticipato, o almeno così pare, i fondi per la prima fase del progetto, ma il passo successivo richiede spalle più larghe e per questo motivo Francesco ed Eugenio decidono di trovare un partner. La scelta cade su un’azienda di Bologna che gode di ottime referenze ma poco dopo soccombe sotto la mannaia della Grande Depressione del ’29. Al suo fallimento, il sogno della bella Trattrice (lo è davvero, con le sue ruote rosso fuoco) viene messo in un cassetto: oggi ne sopravvivono non più di 4-5 esemplari, di cui uno è esposto al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci” di Milano a suggellare un rapporto istituzionale e culturale cementato da anni di collaborazione e, in un certo senso, a celebrare la creatività e l’intelligenza tecnica dei due fratelli Cassani. Un altro invece apre il percorso del Museo SAME, open space inaugurato nel 2008 che espone le milestone della produzione SAME tracciando, al contempo, la storia della meccanizzazione agricola del nostro Paese di cui si può dire che l’azienda trevigliese sia stata protagonista assoluta. Si comincia dalla fine degli anni Quaranta con il Trattorino 851, definito dai dépliant pubblicitari dell’epoca “un gioiello dell’industria italiana”, per finire con il Delfino 35 del 1995.

L’ingresso al Museo SAME: il busto in bronzo sulla sinistra, opera (1970) di Francesco Messina, rappresenta Francesco Cassani.

In mezzo, tanti modelli dalle performance sempre più avanzate: il DA 25 a quattro ruote motrici che consentivano di lavorare terreni prima inaccessibili per le loro caratteristiche; il SAME 240 primo a montare la Stazione automatica di controllo (SAC) che permetteva di controllare la funzionalità (per esempio la profondità di scavo dell’aratro) in modo accurato e dal posto di guida; la linea SAMECAR degli anni Sessanta che univa i pregi del trattore e del camion e convertibile da una funzione all’altra (bellissima una foto d’archivio con il modello Elefante che traina un vagone ferroviario) al ritmo del claim “lavorare la terra e trasportarne i frutti”; il Centauro 55BT del 1966 che vendette più di 10.000 pezzi in tre anni e di cui leggiamo su un catalogo: “basta mettersi al volante per rendersi conto di tutte le innovazioni, un nuovo sedile a poltroncina anatomica avvolgente, comandi manovrabili con movimenti più razionali e spontanei, nuova ricca dotazione strumentale sul cruscotto” il tutto accompagnato da una serie di caratteristiche meccaniche che lo rendevano all’avanguardia, più robusto e meno soggetto a sbandamenti e slittamenti; il Delfino ancora in catalogo dal 1972 (quando uscì il modello 35), il “multitasking che si fa valere in ogni situazione”. E questi sono solo alcuni dei pezzi che compongono un itinerario di visita dove anche l’occhio inesperto trova momenti di piacere, appagato dalle belle carrozzerie (allineate agli stili del momento, ora con linee più tondeggianti ora con forme squadrate), i colori squillanti e i nomi che sono già un programma: Sametto, Ariete, Centauro, Saturno che suggeriscono la forza e l’aggressività con cui approcciare la terra.

I primi modelli SAME nella prima sala del museo.

Dei due fratelli Cassani, Eugenio muore, ancora giovane, nel 1959, Francesco gli sopravvive per una quindicina di anni che vedono la SAME spingersi sempre più avanti nel mondo e lui guadagnarsi “sul campo”, potremmo dire, una laurea honoris causa presso la facoltà di Ingegneria Industriale dell’Università di Pisa per la sua attività di pioniere innovatore e realizzatore nel campo delle costruzioni meccaniche, oltre a una collezione sterminata di prestigiosi riconoscimenti. Alla sua scomparsa, nel 1973, lascerà un testamento spirituale, conservato nell’Archivio, che commuove per la sua semplicità: in esso ricorda che la SAME è stata creata “non già per motivi speculativi, ma per dare all’Italia un’industria di prestigio nel campo dei trattori e dei motori endotermici”, fa una serie di raccomandazioni, tutte improntate a un buon senso quasi paterno, a chi gli succederà, chiedendo di ispirarsi nell’agire ai suoi concetti di “lavoratore entusiasta, umile e tenace” e conclude poi quasi di fretta, come se avesse timore di dilungarsi, facendo affidamento per “una conduzione sana e onesta dell’azienda”. Imprenditore d’altri tempi, verrebbe da dire. Forse, ma che nostalgia.

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