Comunicare è, in primis, ascoltare.
Su entrambi i fronti del processo comunicativo: lato emittente – che deve saper cogliere le necessità del proprio target per veicolare correttamente il messaggio – lato ricevente – che deve porsi nella migliore predisposizione d’animo (in ascolto) per cogliere il messaggio stesso.
E fin qui, tutto facile. Ma nel marketing e nella comunicazione ascoltare significa anche altro. Molto altro. Tanto da rappresentarne una branca ben specifica: il Sound Branding. Ovvero la traduzione dei valori e della cultura d’impresa di un’azienda in un linguaggio musicale originale e distintivo che estende la memorizzazione della marca identificandola in maniera univoca e rafforzando il ricordo del Visual Branding; la comunicazione visiva legata ai segni grafici del marchio (nome, logotipi, colori, pittogramma, payoff). In questo modo, il ricevente è sollecitato non solo da un punto di vista visivo, ma anche uditivo. Coinvolgendo 2 sensi e amplificando le emozioni.
Avete presente quel motivetto che vi resta in testa all’infinito? Ecco: stiamo parlando proprio di questo. Di quel jingle, fatto di pochi o tanti suoni, che immediatamente riconduce ad un brand.
Come spiegano il Neuromarketing e le Neuroscienze questo è possibile perchè “una sequenza di suoni è più memorabile di un elemento visivo perché, dopo il suo inizio, il cervello umano si aspetta automaticamente la fine. Inoltre il suono attiva non solo la memoria cognitiva, ma anche quella affettiva, con enormi vantaggi per chi è in grado di utilizzare questa risorsa”.
Le potenzialità, è presto detto, sono infinite. E mentre la comunicazione B2C si è spinta in questa direzione da tantissimo tempo, per il B2B il Sound Branding è un terreno ancora parzialmente inesplorato. Sicuramente la sfida è molto più complessa nel B2B che nel B2C se non altro perché non stiamo parlando di un prodotto consumer da veicolare, ma di un’azienda che dialoga con un “pari partner” nel business.
La domanda, dunque, è una sola: si possono trasmettere i valori di un brand in forma sonora? E se sì; quale forma possono avere dei concetti per lo più astratti?
Innanzitutto chiariamo un punto: nel Sound Branding il valore (di marca e di cultura d’impresa) è sempre al centro. Con il suono, però, entra in campo anche la componente dell’imprevedibilità e la carta emozionale si amplifica all’ennesima potenza. Mentre un segno grafico è di interpretazione univoca – nero, rosso, grigio, stondato o quadrato; ad esempio – il suono investe tutta una sfera “non razionale”. E questo complica parecchio le cose.
Per questo è essenziale, proprio come accade per una brand identity visiva, essere estremamente rigorosi e attenti in un’applicazione di Sound Branding: certamente non è un passaggio improvvisato, ma frutto di una strategia sonora pianificata e strutturata in modo coerente e orientata a creare una correlazione stretta e bidirezionale tra comunicazione visiva e sonora.
Le qualità essenziali per la memorabilità di marca devono essere rispettate e deve esserci una profonda coesione tra visivo e sonoro: unicità, adesione ai contenuti del brand in termini di percezione e promessa, familiarità, una piena consapevolezza delle potenzialità uditive del proprio Brand; sono questi i presupposti per una strategia vincente.
Il resto poi lo fanno la musica e il cuore: perché – lo diciamo sempre – EMOZIONARE ed EMOZIONARSI sono le chiavi vincenti per una comunicazione d’effetto. E il suono, in questo, non ha rivali!
Come suona il tuo brand? Ci hai mai pensato?