Heritage al femminile: Workout magazine incontra Paola Cerri di Sacchital Group
Forse, anzi probabilmente, non lo sapete, ma ogni volta che scartate una caramella o aprite il flacone di un detergente rendete implicitamente omaggio al genio di un tipico self-made man americano del XIX secolo: Benjamin Babbit. Nato all’inizio dell’Ottocento nello stato di New York, dotato fin dall’adolescenza di un’indole ingegnosa e indagatrice – così lo descrivono i suoi contemporanei – dopo varie esperienze nel mondo della meccanica (inventerà anche uno dei primi esemplari di motofalciatrice), si butta nel business del sapone. Ed è in questo campo che elabora un’idea che cambierà il mondo del commercio: decide di vendere il suo prodotto non più a peso come si usava ai tempi, ma in piccoli pezzi avvolti nella carta. Era nato il packaging.
Babbitt aveva capito che l’imballaggio avrebbe caratterizzato il suo sapone, lo avrebbe reso non solo riconoscibile tra gli altri – quello è anche il secolo in cui si diffondono negli Stati Uniti, così come in Europa, i grandi magazzini, nuovo regno di una borghesia affamata di consumi e anche luogo dove la varietà della merce è l’imperativo categorico – ma anche prezioso grazie agli incarti vivacemente illustrati con vignette che erano vere e proprie pubblicità ante litteram. I suoi claim? Soap for all nations e Cleanliness is the scale of civilization. Slogan ingenui all’occhio di oggi, ma dirompenti in una società che mai era stata spinta all’acquisto attraverso l’utilizzo di una frase a effetto, breve, memorabile.
Da allora sono passati due secoli e il packaging ha assunto i connotati di un mostro ecologico. Secondo i dati riportati nel 2023 da Altroconsumo, ciascun cittadino europeo produce all’anno 177 Kg di rifiuti da imballaggio (dieci anni fa erano una ventina di meno) che rappresentano il 36% dei rifiuti solidi urbani. La soluzione? Tornare ad acquistare prodotti sfusi, quindi a peso – ma non sempre è possibile per ragioni igieniche e in ogni caso i negozi attrezzati per questo tipo di vendita sono pochi – oppure, e questo è un tema che interessa le aziende, orientarsi su packaging che impattino il meno possibile sull’ambiente. La parola d’ordine è quindi sostenibilità.
La buona notizia è che i consumatori italiani sembrano essere diventati più consapevoli riguardo a questo aspetto del packaging, soprattutto nel settore Food & Beverage, come evidenziato da un recente studio dell’Osservatorio Packaging Largo Consumo di Nomisma: nel 2023 il 54% del campione della ricerca ha comprato una marca diversa di un prodotto perché aveva un packaging più sostenibile e il 40% afferma che nel corso del 2024 intende incrementare gli acquisti di prodotti alimentari con imballaggi più rispettosi dell’ambiente. Le caratteristiche che vanno per la maggiore sono l’assenza di overpack (59%), le confezioni interamente riciclabili (58%), quelle prodotte con ridotte emissioni di CO2 (46%), con materiale riciclato (45%) o compostabile/riciclabile (44%). Gli imballaggi plastic free sono apprezzati dal 41% degli intervistati.
Dati ben noti a Paola Cerri, Sales & Marketing Manager del Gruppo Sacchital, cinque stabilimenti produttivi concentrati nel raggio di un centinaio di chilometri con headquarter alle porte di Milano, 450 dipendenti e 150 milioni di fatturato. Sacchital è tra i leader di mercato per la produzione di flexible packaging con un ampio know how nella lavorazione della carta e annovera tra i suoi clienti autentici giganti del food, anche se i suoi prodotti sono apprezzati in tanti altri campi, per esempio quello cosmetico, il farmaceutico e addirittura il fotovoltaico. Che la plastica oggi piaccia poco a una larga fetta di consumatori per lei non è una novità: «Abbiamo nel tempo sviluppato tantissime soluzioni compostabili che si avvalgono di materiali molto innovativi progettati per essere riciclabili e al contempo “lavorare” sulle macchine confezionatrici con le stesse rese produttive dei materiali tradizionali, tipicamente plastici. La plastica però non è per forza “cattiva”. Prendiamo come esempio la bustina di un prodotto farmaceutico che può essere costituita da tre strati, carta, alluminio e politene: la carta è lo strato esterno, quello che viene stampato, l’alluminio è fondamentale per mantenere integro il prodotto, ma il film plastico è indispensabile per garantire la tenuta ermetica della bustina».
Nonostante questa difesa della plastica, o meglio, di un certo modo di intendere la plastica – le loro soluzioni a base di Mono PP e Mono PE (polipropilene e polietilene) possono vantare un grado di riciclabilità che supera il 90% – il Gruppo Sacchital fa della carta il suo punto di forza: «Fra tutti i materiali è quello che ci piace di più ed è anche quello su cui lavoriamo da più tempo, a dire la verità dalla nostra fondazione». Il focus sulla carta ha dato vita a Paperflex System®, una famiglia di prodotti che combinano sapientemente carta e film plastici leggerissimi per garantire la riciclabilità nella frazione carta secondo la metodica Aticelca. Fiore all’occhiello dell’azienda è Formapaper®. Si tratta di un imballo, destinato al fresco, che va a sostituire la classica vaschetta in plastica: «Quest’ultima – sottolinea Paola – si deve gettare per forza nell’indifferenziato, non è riciclabile in quanto costituita da due strati di materiale diverso incompatibili tra loro. Formapaper® invece è all’85% carta, accoppiata con un velo sottilissimo di plastica, indispensabile per mantenere la barriera, la si getta perciò nel bidone bianco». Una soluzione che raggiunge tre obiettivi: è altamente sostenibile (si risparmia più del 70% di plastica rispetto a un packaging tradizionale), permette alle aziende di personalizzare al massimo il prodotto perché la stampa può essere effettuata sia sul top fenestrato sia sul bottom, al contrario della plastica su cui si può solo apporre un’etichetta, e soddisfa l’estetica: «Potrei appoggiare un salmone affettato sull’immagine di un fondale marino o del formaggio su una base effetto lattuga. Una vaschetta in plastica nessuno si sognerebbe di portarla in tavola, mentre una vaschetta Formapaper® sì, perché può essere raffinata e anche perché assomiglia molto ai piatti di carta ai quali il consumatore è già abituato, ha quindi un’elevata accettazione psicologica». Oggi Formapaper® è un successo globale, ma all’inizio, racconta Paola, c’era diffidenza perché «il settore del fresco è sempre stato legato alla plastica, è tendenzialmente conservativo al contrario, per esempio, di quello delle merendine che nel tempo si è molto evoluto». Alla fine i tanti vantaggi hanno demolito le resistenze, anche perché il marketing delle aziende ama le ampie possibilità di comunicazione che questo packaging offre, prima fra tutte quella della filosofia eco-friendly che ne sta alla base, collegata al riciclo e alla certificazione FSC® della carta utilizzata.
Un’altra tipologia straordinariamente innovativa di packaging che ha valso a Sacchital, nel 2021, il premio Best Packaging è Compoflex System®, un imballaggio completamente compostabile costituito da carta all’esterno mentre l’interno, che all’aspetto potrebbe sembrare un comune film plastico, è invece un materiale barrierato in grado di garantire la perfetta conservazione degli alimenti fino alla loro data di scadenza (la cosiddetta shelf-life). È motivo di orgoglio per Paola perché, come ci spiega, «è stato frutto di un lavoro di ricerca, durato un paio di anni, che ha visto la collaborazione di Sacchital con un gruppo di imprese, ciascuna delle quali ha dato il suo contributo, fatto più unico che raro nel panorama italiano. Abbiamo lavorato in modo estremamente coeso nonostante non ci fosse tra noi alcuna formalizzazione: avevamo a bordo chi produceva il granulo del materiale, chi lo riduceva a film, chi sul film applicava un coating a base d’acqua studiato appositamente per fornire una barriera molto efficace, mentre il nostro compito era accoppiarlo con la carta e infine stampare il tutto, cosa non semplice perché anche gli inchiostri e gli adesivi devono essere compostabili. L’ultimo passo è stato l’interazione con i produttori delle macchine per il confezionamento perché i materiali compostabili non si saldano come la plastica e quindi anche quella fase ha richiesto un cambiamento di approccio a 180 gradi»
Paola sottolinea che si tratta ancora di un prodotto di nicchia, ma è anche l’unico imballaggio che torna interamente alla natura: in capo a 6 settimane la disintegrazione è superiore al 98%, e questo risultato, già di per sé eccellente, è ancora più impattante se si pensa che in base alle norme europee i requisiti perché un imballaggio sia recuperabile attraverso il compostaggio richiedono una disintegrazione del 90% entro 12 settimane. Un vero peccato che non ci sia molta spinta, proprio a livello europeo, verso questa soluzione: «Non solo, ma c’è anche parecchio disallineamento tra i vari Paesi per quanto concerne il recupero e il trattamento di tutto quanto è compostabile. Sotto quel profilo l’Italia vanta una buona performance e da qualche anno è stato anche istituito un consorzio nazionale, il Biorepack, che si occupa della gestione del fine vita degli imballaggi in bioplastica compostabile e della frazione organica dei rifiuti urbani».
La spinta all’innovazione, a non accontentarsi di quanto già fatto, a guardare sempre avanti, c’era già nel fondatore di Sacchital nonché nonno di Paola: Valentino Paleari. «Era un vulcano di idee, a noi del commerciale diceva sempre: inventiamoci qualcosa di nuovo, esploriamo le nicchie, facciamo quello che gli altri non fanno, non limitiamoci allo standard. È scomparso a 105 anni, ma fino a due anni prima veniva in azienda, con una lucidità e una capacità di visione che difettano a tante persone ben più giovani». Fonda l’azienda nel 1945 insieme ai suoi nove fratelli («Diciamo che ho una pletora di cugini – ride Paola – ma moltissimi hanno intrapreso strade diverse sicché della terza generazione rimasti in Sacchital siamo in pochi, sufficienti però per dire che l’attaccamento della famiglia a questa realtà è molto forte, così come molto vivo è ancora l’insegnamento del nonno, l’essere sempre sul pezzo e in prima linea su tutto»).
All’inizio, e per un decennio circa, Sacchital (il cui nome originario era Sacchettificio Italiano) produce sacchetti in carta preformati destinati per lo più all’industria alimentare, ma già negli anni Sessanta viene installata in fabbrica la prima macchina rotocalco a tre colori con il passaggio dai sacchetti alle bobine, una trasformazione che rispondeva all’avvento delle macchine automatiche di confezionamento. E bobine da quel momento Sacchital continuerà a farne allargando però le caratteristiche dei materiali utilizzati che oggi sono davvero tanti. Per aumentare il proprio know how la strada intrapresa è stata quelle delle acquisizioni: «Abbiamo cominciato intorno al 1970 con Rotoincarto, attiva nel mercato del packaging del cioccolato e del confectionery, per poi proseguire, intorno al 2000, con Åkerlund & Rausing di Torino specializzata nell’imballaggio a base alluminio e specializzata in incarti per dadi da brodo, poi con Neophane, la cui area di competenza è sui materiali plastici, Dupol Next, da quarant’anni nel settore dell’extrusion coating (il processo nel quale la colata di plastica fusa avviene su un supporto di carta o cartoncino) e infine, pochi anni fa, Mec Pac il cui punto di forza è la stampa flexo, l’accoppiamento e il taglio di film plastici e carta. «La nostra filosofia è sempre stata quella di trovare aziende che avessero innanzitutto tanta storia alle spalle – se sommiamo gli anni di vita delle cinque realtà del gruppo superiamo tranquillamente i 400 anni – e poi che fossero caratterizzate da un bagaglio di competenze paragonabile al nostro. In questo modo riusciamo a rivolgerci a settori e mercati diversi anziché specializzarci come fanno tanti nostri competitor».
È una scelta maturata fin dai primi anni Settanta quando Sacchital esplorava i mercati esteri rispondendo alle più disparate esigenze locali: «I clienti che incontravamo spesso possedevano più aziende sicché se inizialmente stringevamo un accordo per la fornitura di sacchetti per biscotti, scoprivamo poi che a loro serviva magari anche l’imballo del cioccolato piuttosto che della tavoletta insetticida. Rivolgerci a quei mercati, a quei clienti così “spezzettati” significava dover essere elastici, versatili e flessibili». Ancora oggi circa metà della produzione dell’azienda è destinata all’estero con focus importanti su Europa, Africa (uno dei primi mercati stranieri a essere aperti) e Far East, mentre sugli Stati Uniti è stata stretta una partnership con un produttore locale e per quanto concerne l’Australia è in corso un progetto con un importante cliente: «Siamo davvero un’azienda globale» sottolinea con orgoglio Paola, che ha iniziato il proprio percorso professionale in ambito commerciale seguendo il mercato africano, anche in aree geografiche dove avrebbe potuto incontrare delle grosse resistenze dovute al fatto di essere donna. Cosa che invece non è avvenuta. «È stata una sfida nella sfida, il mio compito era incontrare clienti, per lo più maschi, e convincerli che non saremmo stati un semplice fornitore, ma un vero e proprio partner. È questa la parte del mio lavoro che mi piace di più, mi affascina conoscere persone e realtà diverse, riuscire a costruire dei rapporti di fiducia con persone culturalmente differenti». Non è facile, ma la formula magica per raggiungere l’obiettivo secondo Paola è «la sincerità, il riconoscimento senza infingimenti di una diversità che esiste ma che non esclude punti di contatto. E quindi cercarli e rafforzarli. Come? Con la professionalità, la disponibilità e la capacità di mediazione». Per lei queste sono, o meglio, dovrebbero essere le caratteristiche di una vera leadership al femminile in qualunque campo essa si eserciti: «la sfida per noi donne è sempre più alta, ma la possiamo vincere se, anziché scimmiottare atteggiamenti maschili, facciamo emergere quelle che sono le nostre peculiarità e le affianchiamo a un’altissima professionalità perché essere empatiche non basta». E che lei abbia vinto questa sfida è testimoniato dal fatto che «dai tempi del Maghreb ho conservato rapporti calorosi con tanti clienti che ancora oggi mi mandano gli auguri per il compleanno o quelli di Buon Natale anche se da loro è una festa che non ha la stessa connotazione che ha in Occidente. E io ricambio ricordandomi quando finisce il Ramadan o quando cadono le loro festività».
Gli inizi per Paola sono stati molto intensi perché quando si è iscritta in Bocconi è diventata mamma e ha quindi lo studio e l’accudimento del primo figlio si sono strettamente intrecciati. Combinare famiglia e carriera non è stato facile, ma con impegno e determinazione Paola è riuscita a vincere questa sfida e oggi può sottoscrivere quanto era solita affermare Marisa Bellisario, una delle donne manager più carismatiche di sempre: «Per una donna avere successo è più difficile ma è molto più divertente».
Il primo incarico è nel controllo di gestione, anche perché quella era stata la sua specializzazione all’università, ma Paola cerca qualcosa di più sfidante e stimolante. Così, non appena se ne crea l’opportunità, passa al commerciale «e lì sono rimasta. Da allora sono passati 27 anni». Il suo è un settore faticoso perché implica viaggiare o comunque muoversi parecchio, non avere orari, andare alle fiere che sono tante, restare fuori casa per più giorni di seguito, aspetti che devono essere conciliati con la vita quotidiana di una mamma.
In Sacchital il turnover è molto basso. Merito di politiche aziendali che cercano di rendere il lavoro più agevole e di un atteggiamento di ascolto delle necessità individuali: ancora una volta è l’impronta del nonno che «ha sempre avuto un grande senso di responsabilità nei confronti non solo dei dipendenti, termine che tra l’altro non usava mai, ma anche delle loro famiglie». «Qui si sta bene – continua Paola – c’è un clima sereno, con le persone che tra di loro si aiutano e si supportano». C’entra anche il fatto di saper «mettere le persone al posto giusto: chi ha un’indole meticolosa, va inserito in un contesto dove sia necessaria la precisione, non dove invece è meglio essere malleabili, morbidi». E questo vale per tutta l’azienda anche se è particolarmente vero nel settore di Paola, il commerciale, nel quale si ha a che fare con tante nazionalità diverse: «Ecco perché il nostro ufficio è molto variegato sia per provenienza che per età dei collaboratori. Così, nell’assegnare un lavoro tendiamo a privilegiare non tanto, o non solo, chi ha sempre seguito un certo settore, ma chi pensiamo possa gestire meglio quel cliente». La psicologia al posto di comando…
L’azienda ha rapporti strettissimi con il mondo della scuola, sia con le università – «perché innovazione vuol dire anche essere sempre aggiornati su ogni novità» – sia con le secondarie: in Sacchital l’alternanza scuola-lavoro, gli stage, sono pane quotidiano. Peccato, dice Paola, che non esista una scuola specializzata nel loro settore. Per di più negli ultimi anni si è riscontrato da parte del mercato un approccio non molto favorevole al packaging a causa dei tanti preconcetti che lo equiparano al rifiuto, al waste. «Sarebbe invece importante far passare un altro concetto: il packaging come risorsa, un modo per poter ricevere prodotti da ogni parte del mondo e poterli consumare come se fossero a chilometro zero. E questo c’entra con l’igiene, con la conservazione, con la protezione dell’alimento. E poi c’è anche un aspetto nutrizionale: il packaging porziona e ti obbliga perciò a un consumo responsabile ed equilibrato, sottolineando per di più, grazie alle informazioni che vi sono stampate sopra, le sue caratteristiche, dall’apporto calorico alla composizione in nutrienti.».
E a proposito di comunicazione, Paola auspica che il packaging sia sempre più visto come un mezzo per veicolarne le caratteristiche virtuose: «Da parte di noi produttori non ci deve essere nessun senso di colpa e nessuna reticenza. Al contrario dovremmo sottolineare anche in modo spinto il lavoro fatto sui nostri imballaggi per renderli più sostenibili. Però probabilmente stiamo ancora scontando il greenwashing che ha caratterizzato alcune aziende in un recente passato. Ecco, i consumatori hanno poi punito chi si era comportato così e adesso si ha perfino un po’ di paura a lanciarsi in affermazioni che possono essere lette con diffidenza».
In quanto alla sua realtà, Paola sa di lavorare nella giusta direzione: ricerca continua e innovazione verso un packaging sostenibile ma che al contempo svolga nel migliore dei modi il compito per cui è stato concepito. In questo Sacchital, che nei decenni ha espresso tante soluzioni a volte rivoluzionarie, parte avvantaggiata: la combinazione del know how di cinque aziende presenti sul mercato da decenni, la varietà dei materiali utilizzati (praticamente tutti quelli che il mercato offre) e la propensione innata verso il cambiamento sono gli ingredienti di base di questa ricetta vincente. «In effetti tanti prodotti sono stati creati combinando materiali nuovi con altri che venivano magari usati in passato in altre applicazioni». Vero, però bisogna sapere guardare «out of the box», è un talento, e Sacchital lo possiede.
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