Confesso: le ho anch’io! Mi guardano dall’alto della scarpiera come a dire: “alla fine ti abbiamo convinta a comprarci”! Un po’ sfacciate; come i loro colori. Sicuramente altezzose; se pensiamo ai prezzi a cui sono state rivendute online. Insomma, lo avete capito: anch’io faccio parte di quell’enorme pletora di consumatori in possesso di un paio di sneakers Lidl a 12,99 euro.
Perché ve ne parlo?
Perché al di là dell’operazione di marketing della scarsità e ninja marketing che Lidl ha messo in piedi – e ai piedi di milioni di fan – con grande successo, quello che non passa inosservato è il percorso di re-branding che l’azienda tedesca ha compiuto negli ultimi anni cambiando il proprio posizionamento da “discount da battaglia” a “supermercato da famiglia”. Una case history sicuramente interessante da analizzare sotto il profilo della comunicazione. Questo almeno in Italia.
Quando è approdato sul mercato italiano, Lidl si contraddistingueva per due elementi fondamentali: prezzi competitivi e allestimenti essenziali (non nel senso di minimal, ma nel senso che spesso erano i bancali stessi di prodotti ad essere utilizzati come espositori). Il brand si è posizionato subito come supermercato in cui trovare prodotti di consumo, molto spesso stranieri o di referenze non conosciute, a prezzi super competitivi. E tutta la comunicazione visiva andava in questo senso: dall’abbigliaggio interno ed esterno dei punti vendita, ai volantini di comunicazione molto cheap nella realizzazione e nella qualità, fino a quell’allure generale di “poco valore” (economico e di percepito) che aleggiava nei punti vendita stessi.
Negli anni, abbiamo assistito ad un progressivo ri-posizionamento verso l’alto di Lidl. Verso un percepito di marca in cui non si parla più di discount, ma di “valore di prodotto”, di “sentimento e spirito di appartenenza”, di “price value”. Ecco che quello che inizialmente era percepito come “di scarso valore”, oggi è percepito come “familiare” ed “aggregante”. Ed ecco che allora il consumatore è disposto a fare ore e ore di fila per accaparrarsi un prezioso bottino: le scarpe Lidl.
E’ chiaro che questo ri-posizionamento, che è tuttora in corso, si è composto di step successivi e poco eclatanti; che hanno però raggiunto l’obiettivo. In primis Lidl si è rifatta il look: i punti vendita sono esteticamente più sobri e vicini ai colori della terra e della famiglia. Non più giallo/blu – per catturare l’attenzione – ma grigio/marrone per veicolare fiducia e stabilità. Entrando si sente subito il profumo di pane; il profumo di casa per qualsiasi italiano. Parallelamente il claim è cambiato: Lidl è per te! E’ scomparso l’accenno spinto al prezzo, a favore della centralità della persona. L’offerta si è ampliata, inserendo anche prodotti tipici di tradizioni non-italiane (la settimana della Grecia, della Spagna…) e ha inserito dei prodotti di qualità a referenza propria “ItaliAmo”. Infine, che per l’italiano tipico è forse in primis, è sponsor della Nazionale Italiana di Calcio.
Cosa ci insegna tutto questo?
Sicuramente nel B2B il re-branding è meno rischioso che nel B2C: nel B2B non si lavora sulla massa, ma sull’azienda/sulla marca stessa. Di fatto, nel B2B si lavora sull’evoluzione naturale e fisiologica di un’azienda. Questo perché se c’è poca spinta innovativa e l’azienda da un’immagine di sé legata al passato non sarà percepita come competitiva. E per il modello di business tipicamente italiano – basato su grandi aziende che sono legate ad una famiglia e allo sviluppo con la seconda/terza generazione – è strategico ed essenziale alla sopravvivenza sapersi evolvere anche nella comunicazione. Per continuare a distinguersi e ad essere competitivi senza dimenticare, ovviamente, le proprie radici.
Ma nulla è fruttuoso senza una strategia mirata. Certamente qualsiasi re-branding è possibile, ma è da mettere in conto che non può (e non deve se l’obiettivo è quello di un ri-posizionamento ragionato e a lungo termine) arrivare all’improvviso: è frutto di un percorso progressivo e sistematico in cui tutti gli aspetti della comunicazione sono chiamati in causa. Pacchetto Corporate, Content Marketing, Storytelling, Visual: sono tutti elementi che devono dialogare tra loro per aiutare il brand a superare gli step di evoluzione verso il nuovo posizionamento. In questo modo la reputazione di marca ne esce rafforzata, il target di riferimento automaticamente si arricchisce e insistendo con un’azione coordinata, integrata e coerente si riesce a raggiungere un nuovo posizionamento. Certamente non è semplice convincere i propri stakeholder che quanto dichiarato con la comunicazione, corrisponde alla realtà dei fatti. Servono anche quei fatti. Ma certamente un re-branding significa focalizzarsi e attirare l’attenzione su quello che realmente si vuole comunicare. Sui nuovi valori di marca che si vogliono veicolare. Sul nuovo percepito cui si aspira.
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