Sbagliando, s’impara… dice la saggezza popolare. E la saggezza popolare, si sa, non sbaglia mai! E allora perché, ancor più oggi in un mondo che va a 1000 km/h, l’errore è visto come il Male Supremo da cui rifuggire? Non nascondiamoci dietro ad un dito: sbagliare è brutto, è fastidioso, è avvilente e mina profondamente la nostra sicurezza e stima. In ambito lavorativo è equiparabile ad un hara-kiri. Ma, se analizzato nella giusta prospettiva, può (e deve) essere visto come un motore di crescita. Ecco perché non solo sbagliando, s’impara, ma soprattutto sbagliando, si cresce!
L’etica, lo sappiamo tutti, è quella branca della filosofia che studia il comportamento umano soprattutto in relazione al concetto di Bene e Male. E allora perché etica dell’errore? Semplicemente perché ciò che fa la differenza, di fronte ad un errore, è il comportamento umano che si mette in campo: il primo impulso è quello di cercare colpevoli. Non neghiamolo; siamo così tutti. Sempre. In ogni occasione; seppur piccola e del quotidiano. Nel mondo business questo, chiaramente, si amplifica ancora di più: di solito ci va di mezzo lo stagista di turno; ma quando questo non è possibile la caccia alla streghe è aperta! Ma c’è anche chi – ed è per questo comportamento che possiamo parlare di etica dell’errore – interpreta lo scivolone come passaggio (poco piacevole) di un processo di crescita e di sviluppo aziendale e del brand. Come occasione per una riflessione sui motivi che hanno portato a quella determinata situazione e su quali correttivi apporre perché ciò non accada più. In questa visione l’errore stesso diventa un valore.
Ovviamente non stiamo dicendo che tutto va scusato e che non va presa una responsabilità. Ma semplicemente che questa responsabilità fa parte di una visione più ampia e complessiva che è orientata alla crescita e allo sviluppo, più che al comfort zone. In altre parole: se un brand si limitasse alla propria zona di sicurezza sicuramente le opportunità di errore sarebbero (quasi) pari a zero, ma parimenti le opportunità di crescita sarebbero (quasi) pari a zero. L’errore implica in sè l’idea di rischiare, di sperimentare, di azzardare, di spostare un po’ più in là l’asticella. Ma è solo spostando i propri limiti che è possibile innescare una crescita proprio perché si sotto-intende un movimento, un innalzamento. Sbagliando, s’impara perché sbagliando si fanno prove, ci si prende del tempo per ragionare e per riprovare e quindi per migliorare.
Per un business o un brand questo passaggio è fondamentale. Perché accettando una percentuale di rischio, si accetta anche la corrispondente capacità di correggersi e di essere propulsori di soluzioni e di visioni. Propulsori di una crescita.
Errare è umano, perseverare è diabolico.
Ed è proprio qui la differenza: non bisogna rifuggire l’errore, ma il perseverare nell’errore.
Che, guardando al lato pratico della comunicazione, significa:
La comunicazione ci insegna anche che ogni errore è perdonabile.
Un esempio su tutti: a distanza di pochi anni – 4 per la precisione – chi si ricorda la campagna Pandora di Natale che ha fatto indignare le donne italiane?
Le scuse dell’azienda e una riflessione su quanto accaduto hanno permesso al brand Pandora di ri-tarare la propria comunicazione e porsi come obiettivo di crescita oggi il + 6-8% nel 2023; sinonimo che nonostante tutto la fiducia nel brand continua e che anche da un errore si può generare sviluppo.
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