Heritage al femminile: Workout magazine incontra Valentina e Paola Conforti
«Ogni cassaforte è diversa dalle altre. Ci sono quelle con le sbarre a crociera, quelle triangolari e quelle circolari. La chiusura è a tutta tenuta, senza fessure. Un modo per aprirla è quello della dinamite, sistema che usava il famoso Fu Cimin»
«Fu Cimin, e che? Era cinese?»
«Macché cinese, veneziano era, “Fu” sarebbe che morì, “Cimin” è il cognome, no? Poveraccio, saltò in aria con tutta la cassaforte. Per cui è un sistema che escludo a priori. E adesso passiamo appresso. Molte casseforti hanno tre o quattro serrature, una però è quella che conta»
«E come si fa a capirlo?»
«Eh come si fa… trapano, buchetto e cannello! Si riempie la cassaforte d’acqua… dalla serratura che esce il liquido acquatico, diciamo così, quella è la pula.»
«Ma è un sistema pratico?»
«No. Oh ragazzi, mettiamoci bene in testa che con le casseforti non c’è mai nulla di sicuro. Uno solo è il mezzo sicurissimo: la sega circolare»
Chissà se Valentina e Paola Conforti sarebbero d’accordo con la consulenza che Totò – alias Dante Cruciani, scassinatore a riposo – nel film I soliti Ignoti di Monicelli fornisce alla scalcinatissima banda decisa a fare il colpo della vita svaligiando la cassaforte del Monte di Pietà. Beh, almeno sostituirebbero alla sega circolare la lancia termica o il martello pneumatico. «Cinquant’anni fa i ladri utilizzavano mezzi che oggi sarebbero banali» specifica Valentina e poi aggiunge «Comunque non c’è nessuna cassaforte che possa resistere a qualsiasi attacco, non esiste il rischio zero in questo campo». Ecco la prima delle tante «lezioni» che impareremo nel corso di questa conversazione: una cassaforte è tanto più sicura quanto più a lungo resiste agli sforzi dei rapinatori di forzarla, ma non impedisce che questi ci riescano se mezzi e tempo a disposizione sono loro favorevoli. Il grado di sicurezza è, a crescere, su sette livelli rigidamente codificati sulla base di una normativa europea che prevede dei controlli a monte molto severi: «L’azienda costruisce un prototipo – spiega Paola – che viene testato in laboratori accreditati: deve superare le prove prescritte per il grado di sicurezza per cui si richiede la certificazione, prove che prevedono l’impiego di vari strumenti di attacco in relazione al fattore tempo». Ma c’è di più: «Esiste una sorveglianza sulla produzione, nel senso che l’ente certificatore manda ogni anno un ispettore per verificare che il prodotto realizzato in quel momento sia conforme al modello che a suo tempo aveva superato i test, i disegni devono corrispondere al progetto depositato per la certificazione. E quest’ultima poi scade ogni cinque anni il che comporta che si debba rimandare tutta la documentazione con particolare attenzione a ciò che si è cambiato rispetto alla prima certificazione. E infine, se la normativa nel frattempo è stata modificata, si deve ricominciare tutto da capo».
La severità delle procedure è particolarmente importante perché, se è vero che tutti noi, quando pensiamo a una cassaforte, abbiamo in mente il mercato privato, quest’ultimo è invece per Conforti, azienda di San Martino Buon Albergo, alle porte di Verona, di importanza limitata. «I nostri interlocutori – spiega Paola – sono per lo più gli Istituti finanziari, la Grande Distribuzione Organizzata e le petrolifere con le stazioni di servizio, insomma le attività a rischio lì dove c’è contante: quindi i nostri prodotti sono spesso anche casse per il deposito contante con apparecchiature di validazione delle banconote che gestiscono le diverse operazioni di versamento e prelievo con elettroniche parecchio complesse. In parole povere, tutti i punti in cui avviene il passaggio di denaro dall’esterno all’interno o viceversa e dove perciò il rischio di furto o frode è elevato». Il contante però, nonostante la ben nota resistenza dell’italiano medio a non gonfiare il portafogli di banconote, sta gradatamente perdendo di rilevanza sulla scia di un trend già ben assestato in Europa, oltre che in molti Paesi del mondo. Ecco perché Conforti sta allargando il concetto di sicurezza ad altri «beni» che pur non configurandosi come denaro in senso stretto vanno comunque protetti perché hanno un valore a volte notevole: un nuovo progetto, per esempio, verte sulla gestione dei dispositivi medici negli ambienti ospedalieri attraverso la tecnologia RFID (che in buona sostanza consente l’identificazione automatica grazie alla propagazione nell’aria di onde elettromagnetiche). Senza dimenticare che in molti casi la protezione deve essere rivolta a documenti, sia cartacei che su supporto informatico, a cui Conforti provvede con armadi blindati, spesso ignifughi. E le cosiddette safe room, tanto diffuse negli Stati Uniti? «Non sono così richieste. Siamo più orientati alla protezione dei beni che a quella delle persone». Per quest’ultima il consiglio di Conforti è sempre quello di prevenire, istallando sistemi di allarme e videosorveglianza che rappresentano un ulteriore campo di attività dell’azienda.
La tecnologia, soprattutto quella digitale, ha cambiato completamente il mondo dei mezzi forti (seconda lezione, il termine «cassaforte» gli addetti ai lavori non è che non sappiano cosa sia, ma quasi): oggi parliamo di macchine «intelligenti» in grado di trasmettere per esempio in ogni istante i dati sul versato di ciascuna macchina e informazioni su ogni sua apertura. La rete a volte è enorme: «Un nostro cliente della Grande Distribuzione ha 700 macchine sul territorio e tutte hanno un monitoraggio continuo e centralizzato via Internet. Questo significa che il cliente può vedere lo stato di ciascuna cassaforte e al limite anche intervenire su di essa sempre da remoto». Un controllo che anche Conforti può attuare: «Se viene notata un’anomalia, ci viene segnalata e noi possiamo verificarne l’origine». Ma dato che agire a distanza è fondamentale, ma non sempre è sufficiente, Conforti assicura una rete di assistenza con più di trenta centri convenzionati estesi capillarmente sul territorio nazionale pronti a intervenire per qualsiasi necessità. Con una piccola coda polemica di Valentina: «Siamo molto presenti anche nel mondo della Pubblica Amministrazione ed è proprio qui che registriamo un carico burocratico pesantissimo: ogni intervento, sia pur minimo, oggi deve essere pubblicato sul portale del MEPA e questo comporta da parte nostra la necessità di presentare una quantità di documenti enorme con un gran dispendio di tempo. Capisco la necessità di prevenire frodi, ma dov’è quella semplificazione che periodicamente ci viene fatta vagheggiare?».
Azienda longeva la Conforti: 1912 la data sull’atto di nascita. Il «padre»? Silvio Conforti, di professione ferroviere. Sì, non è un errore, è proprio così: il suo lavoro, a essere precisi, è operaio manutentore. Mani abituate al metallo, che sanno piegarlo con durezza quando necessario e che invece hanno la delicatezza di una farfalla quando intervengono sui meccanismi. La sua è una famiglia molto modesta e Silvio comincia a lavorare, come non era raro ai tempi, a tredici anni nel laboratorio paterno come apprendista fabbro (anche papà Leopoldo è ferroviere «a mezzo servizio»). Il ferro, quello che sporca, quello da fucina gli piace, ma in lui pulsa anche una vena creativa che lo spinge a frequentare le scuole serali di arte applicata all’industria dove si distinguerà anno dopo anno per la bravura e la diligenza. La grande occasione bussa alla sua porta proprio nel 1912 quando Silvio viene a conoscenza dell’esistenza di un concorso nazionale di arte meccanica riservato agli artigiani e istituito dalla Fondazione Weil Weiss di Lainate, che mette in palio un cospicuo premio: 450 lire, forse non proprio un patrimonio ma abbastanza per far decollare i propri sogni. E Silvio ne ha. L’opera che presenta è una cassaforte: chissà perché questo oggetto gli ha stuzzicato la fantasia, non se ne conoscono le ragioni.
Ma quello che invece è certo è che realizzerà un vero capolavoro: in acciaio satinato a mano, ha la porta decorata con un elegantissimo tralcio floreale in stile Art Nouveau che cela, dietro uno dei boccioli, la serratura. Silvio vincerà, meritatamente, il concorso.
Adesso che i soldi ci sono, occorre ampliare gli orizzonti: Silvio ha ventun anni ma la maturità di un uomo adulto, vuole intraprendere un’attività propria e proprio nel campo che gli ha dato la vittoria, ma è consapevole di avere ancora molto da imparare. Decide perciò di licenziarsi dalle Ferrovie e di impiegarsi presso la Pistono, un’azienda torinese che produce appunto casseforti. Saranno due anni intensi, durante i quali si sforza di assimilare quante più nozioni possibile e poi si sente pronto a spiccare il volo: si torna a casa. A Verona troverà una bottega, in un vicolo sulla riva sinistra dell’Adige rispetto al centro storico: è un locale molto buio, ma Silvio non può permettersi altro. E comunque la sua intelligenza pratica risolve brillantemente – è proprio il caso di dirlo – il problema: piazza sul tetto della casa di fronte uno specchio che riflette la luce del sole deviandola verso il laboratorio. Con lui ci sono due apprendisti: ormai è un imprenditore a tutti gli effetti.
Il lavoro arriva subito: la Cassa di Risparmio di Verona gli commissiona alcuni contenitori a cassetti che devono essere a prova di fuoco e subito dopo costruirà (finalmente) una vera cassaforte per una ditta locale, una struttura che verrà dipinta a imitazione del legno, forse il metallo sarà sembrato troppo povero ai committenti…
Ma intanto scoppia la Prima guerra mondiale e Silvio deve arruolarsi: non andrà in prima linea perché in virtù delle sue capacità manuali entrerà all’Alfa Romeo nel reparto che produce spolette per proiettili da cannone, è salvo, non diventerà la carne a cui quei proiettili sono destinati.
Finita la guerra la bottega, che era rimasta in attività grazie agli sforzi del padre di Silvio, riprende a pieno regime con una novità: adesso la ditta non si chiama più S. Conforti, ma F.lli Conforti.
A lavorare accanto a Silvio c’è infatti il fratello Celso che si occupa della parte commerciale, un ruolo importante perché le commesse stanno aumentando e con esse il numero degli operai che sono diventati venti. Troppi per lo spazio che il laboratorio può offrire, bisogna trovare una sede più grande: verrà edificato un capannone sul lato opposto del fiume, comprando un appezzamento di terreno che consentirà anche di impiantare un orto e un vigneto. E con l’ampliamento della sede ci sarà anche un ulteriore incremento dei dipendenti che arriveranno a 120. Siamo alle soglie degli anni Trenta, il momento d’oro della Conforti che annovera tra i suoi clienti molti orafi vicentini e addirittura la Banca d’Italia per la quale vengono realizzate casseforti anche da 12 tonnellate, in grado di resistere a un assalto portato continuativamente per due giorni.
1940: un’altra guerra. Di metallo in giro nemmeno l’ombra e comunque per costruire una cassaforte adesso ci vorrebbe un’autorizzazione speciale, tutto deve essere finalizzato allo sforzo bellico. Così l’azienda riconverte la produzione: porte antigas e antiscoppio destinate ai rifugi antiaerei e, visto che gli uffici continuano a funzionare, mobili in faesite, un impasto di fibre legnose sufficientemente robusto per sostenere il peso di faldoni e macchine da scrivere. Ma la perizia della Conforti in casseforti è ben nota in zona e spiega uno strano episodio, una sorta di spy story che non sarà mai chiarita del tutto: un giorno a Silvio Conforti si presenta un tizio dall’aria misteriosa che si qualifica come agente dei Servizi Segreti italiani. La sua richiesta è altrettanto strana: ha bisogno di un tecnico per un intervento particolare, l’apertura «delicata» di una cassaforte, senza manometterla o far sospettare l’effrazione. In azienda il tecnico «geniale» c’è e si chiama Pietro Perina, ma Silvio non se la sente di coinvolgerlo in qualcosa che puzza di rogne lontano un miglio. Ciò nonostante si lascia sfuggire il nome. Guarda caso Perina si assenterà dal lavoro improvvisamente e senza avvisare per qualche giorno e al ritorno racconterà di essere stato trasportato nottetempo in un comando militare tedesco (a quei tempi la Germania era ancora alleata con il nostro Paese) dove in effetti aveva dovuto aprire una cassaforte: dentro tanti documenti che alcuni uomini avevano provveduto a fotografare. Poi la cassaforte era stata richiusa con una finezza proporzionata alla cospicua ricompensa fatta scivolare nelle tasche del Perina. Con buona pace degli scrupoli di Silvio Conforti.
A partire dall’8 settembre 1943 il quadro cambia ancora: il territorio è in mano nazista e la Conforti diventa una delle tante fabbriche dell’esercito tedesco, vi si realizzano le carlinghe dei famosi Messerschmidt, gli infallibili aerei da caccia della Luftwaffe. Così sarà fino al termine della Seconda guerra mondiale; nel frattempo l’azienda sarà riuscita a sopravvivere ai tanti bombardamenti che colpiscono la città, anche perché la stazione ferroviaria, inevitabile bersaglio dei raid alleati, non è lontana. Soprattutto uno rischierà di compromettere la struttura: il 4 gennaio 1944 una bomba centra il capannone e si conficca in una trave senza esplodere, un vero miracolo.
Di miracoli alla Conforti ce ne sarebbe tanto bisogno anche alla fine del conflitto. Pur se non sostanziali, danni alla fabbrica ce ne sono stati, i crediti nei confronti dello Stato Maggiore dell’esercito italiano ammontano alla cifra iperbolica di otto milioni senza nessuna speranza di recupero e, soprattutto, in quel momento di disperata povertà del Paese, chi mai ha bisogno di casseforti?
C’è un’altra domanda che i due fratelli Conforti si pongono: di che cosa c’è sempre necessità, in ogni epoca storica e in ogni frangente? La risposta è racchiusa in quattro lettere: P, A, N, E. La decisione è presa: a partire dal 1946 la Conforti comincerà a produrre forni da panettiere, prima a elettricità e poi anche a legna, carbone e petrolio, scelta non peregrina perché, spiega Valentina «la tecnologia per produrre una cassaforte e un forno è sostanzialmente la stessa». Decisione vincente: ogni settimana, per una ventina d’anni, verranno venduti almeno quattro-cinque esemplari destinati a una buona fetta dell’Italia. La loro robustezza era tale che ancora oggi ci sono panifici, soprattutto nel Sud, che li usano e che chiamano la Conforti per gli inevitabili problemi di manutenzione: «fino a qualche tempo fa riuscivamo ad assecondare le richieste, ora facciamo più fatica perché si deve intervenire su strutture come minimo di cinquant’anni fa e non è semplice. Ma se possiamo, lo facciamo, certo, e con piacere. Anche perché i panettieri insistono nel dire di non voler dismettere il forno perché funziona ancora benissimo».
Gli anni Cinquanta della Conforti vedono il graduale ritorno alla normalità e con essa l’entrata in azienda dei due figli maschi di Silvio, Franco e Leopoldo (padri rispettivamente di Paola e Valentina), il primo con funzioni tecnico-progettuali e il secondo nel commerciale a coprire il vuoto lasciato da Celso, scomparso nel 1949. I due giovani sono anche i primi laureati della famiglia, Franco in ingegneria meccanica e Leopoldo in ingegneria elettrotecnica, e l’orgoglio di Silvio è palpabile, testimoniato, in occasione del diploma del primogenito, da un avviso ai dipendenti che recita: «Domani 27 corrente l’orario di lavoro sarà il seguente: dalle 8 alle 12. A MEZZOGIORNO L’ING. FRANCO CONFORTI PER FESTEGGIARE LA SUA LAUREA OFFRIRÀ UNA PASTA ASCIUTTA E VINO A TUTTI (si prega di provvedere possibilmente un piatto fondo)».
Il connubio tra i due fratelli funziona bene e il boom economico che ormai si profila all’orizzonte funge da volano per il recupero della tradizionale attività di Conforti S.A: la sicurezza. Il fiore all’occhiello in quel periodo sarà la cassa continua Sesamo che verrà adottata da ben 7.000 agenzie bancarie. Nei decenni successivi la produzione, trasferitasi nel frattempo a San Martino Buon Albergo, si è arricchita di prodotti sempre più performanti ed efficienti soprattutto dal momento in cui la tecnologia elettronica ha fatto il suo ingresso: sono tantissime le milestone della storia produttiva dell’azienda e ognuna ha rappresentato un deciso passo in avanti.
Sul fronte della gestione dell’azienda altrettanto fermento perché Franco e Leopoldo, ormai soli al timone (Silvio è venuto a mancare nel 1972), aprono le porte di Conforti alle rispettive figlie, ma con modalità molto diverse.
Cominciamo da Valentina: «Sono più vecchia di Paola per anzianità aziendale perché, dopo la Scuola Politecnica di Design che ho frequentato a Milano, sono entrata in Conforti. O meglio: in azienda lavoravo, all’ufficio tecnico, alla mattina, mentre al pomeriggio andavo in uno studio di design, in una divisione del mio tempo e della mia vita piuttosto difficile psicologicamente perché le due realtà erano davvero molto diverse: in Conforti stavo tutto il tempo chinata sul tecnigrafo mentre allo studio di design respiravo un’aria totalmente diversa, intrisa di creatività ed effervescenza». Valentina si sente tirata da una parte e dall’altra, ma alla fine sceglie l’azienda di famiglia anche se si intuisce che non deve essere stata una scelta facile rinunciare a un ambito che le piaceva per un contesto in cui forse all’inizio non si è sentita così valorizzata. Comunque presto è passata dall’ufficio tecnico al marketing che si è rivelato ben più stimolante.
Anche la storia di Paola è nel segno di una rinuncia, forse però meno sofferta anche perché avvenuta in età più matura rispetto alla cugina.
Studi in matematica, «dotata» anche lei, al pari di Valentina, di un padre «ingombrante» (parole sue), Paola non si sogna minimamente di «infilarsi nelle casseforti». Grazie anche all’ottima conoscenza del francese, subito dopo la laurea accetta una proposta da parte di una start up di Grenoble – «ai tempi era un po’ la Silicon Valley della Francia» – e vi si trasferisce. Ci rimarrà sei anni, per passare poi alla Schneider Electric, sposarsi (con un francese), mettere al mondo due figli e radicarsi perciò felicemente oltralpe. Ma mai dire mai…
È la fine degli anni Novanta quando Paola riceve la visita del fratello maggiore che pur non lavorando in Conforti (è anche lui un matematico) è nel consiglio di amministrazione. È latore di un messaggio che forse Paola si aspettava sarebbe prima o poi arrivato: “a Verona c’è bisogno di voi”. Racconta Paola: «Non è stato un fulmine a ciel sereno, in qualche modo seguivo l’azienda e le sue vicende e sapevo perciò che non era in un periodo facile. Soprattutto il passaggio generazionale si stava dimostrando complicato. Questa richiesta è caduta in un momento delicato per mio marito che dopo dieci anni in un grande gruppo, nel controllo di gestione, sentiva di aver esaurito il suo entusiasmo, di non avere più stimoli: l’idea di lavorare in una piccola azienda al contrario non gli dispiaceva affatto e ha deciso perciò di venire in Italia pur conoscendo pochissimo la nostra lingua».
Paola inizialmente accetta un ruolo in Magrini Galileo del Gruppo Schneider Electric in territorio padovano per lasciare al marito il tempo di maturare la sua scelta dopo un periodo di approfondimento sia dell’azienda Conforti sia del compito che vi deve svolgere. Dopo più di anno deciderà di raggiungere anche lei l’impresa di famiglia: «Il fatto è che la Conforti aveva estremo bisogno di mettere mano, dal punto di vista informatico, al gestionale interno e quello era proprio il mio campo. Non aveva più senso tenermi lontana e così sono approdata in azienda». Oggi, dice ridendo, si ritrova con tre cappelli, perché è responsabile della qualità («non dei prodotti, ma dei sistemi»), dell’amministrazione e della digitalizzazione, mentre Valentina continua a occuparsi del marketing con incursioni nel commerciale.
Le due cugine vanno d’accordo e questo è un presupposto importante per una gestione serena dell’azienda. Ma non esistono solo loro: «Nel consiglio di amministrazione sono sempre presenti i due rami famigliari» specifica Paola «Il presidente, che però è una carica poco più che onorifica, è il papa di Valentina, mentre dal punto di vista della direzione abbiamo deciso di rinunciare a un direttore generale in favore di una direzione a quattro che ricalca le quattro aree dell’impresa: la tecnica, le operations, la mia relativa ai servizi in generale e la commerciale. Con riunioni mensili di direzione che ci vedono tutti e quattro presenti, il che stempera eventuali disaccordi». Due donne nel mondo della sicurezza «pesante» non è proprio un fatto comune, ma Paola e Valentina non se ne danno pensiero: sono competenti e grintose, sia pure in un modo tranquillo perché sanno di avere un bel po’ di esperienza dalla loro parte.
Anche se non è il core business di Conforti, la realizzazione di casseforti per privati, soprattutto se si parla di lusso, resta per i «profani» un settore estremamente affascinante perché, a prescindere dal livello di sicurezza richiesto, la customizzazione è talmente spinta che ogni pezzo si può considerare unico.
È questo vale sia per il rivestimento esterno che per l’accessoriamento dell’interno che vedono un intervento artigianale che fa la differenza: «Abbiamo appena realizzato una cassaforte rivestita in pelle ricamata che all’interno ospita 24 rotori per mantenere la carica degli esemplari di una collezione di orologi meccanici automatici. Ma nella linea Exclusive Safes, lanciata in occasione del nostro centesimo anniversario, troviamo decine di soluzioni con cassetti, scomparti e ripiani adattabili alle esigenze del cliente e rifiniti a mano con materiali pregiati». Sono soprattutto questi ultimi a colpire per originalità e bellezza: dalla radica (quella di mirto è una vera sciccheria) al velluto Manipur firmato Designers Guild (uno dei più celebri marchi tessili inglesi), alla pelle, liscia, scamosciata, intrecciata o imbottita capitonné, in mille sfumature di colore, fino ad arrivare al marmo veronese, alla madreperla e alla malachite. Proprio uno di questi esemplari in malachite è stato protagonista, alcuni anni fa, di uno spot di Bulgari, in occasione della riedizione del suo celebre anello B ZERO1: «la cassaforte era un po’ un esercizio di stile, l’avevamo portata in parecchie manifestazioni fieristiche in giro per il mondo, perfino in Oman ed evidentemente aveva colpito l’attenzione visto che poi ci è stata richiesta per lo spot. Subito dopo l’abbiamo esposta in uno showroom di via della Spiga a Milano e lì è stata adocchiata da un cliente che ha poi deciso di comprarla. Davvero non so dire se gli servisse come cassaforte o semplicemente gli piacesse come oggetto, fatto sta che l’ha collocata in fondo a un corridoio, su un basamento in perspex e davanti a uno specchio perché la si possa ammirare nella sua interezza».
Nella storia produttiva dell’impresa veronese non è mancata nemmeno un’incursione nel mondo della moda: un’edizione limitata di dieci casseforti Gucci Palace (quest’ultimo è un marchio londinese di streetwear), a celebrazione di una joint venture tra i due brand. Valentina si illumina di orgoglio nel ricordare questa commessa prestigiosa, ma difficile: «È stato un progetto bellissimo e incredibilmente impegnativo, tanto che io non ci ho dormito per notti per l’ansia che mi creava. I nostri interlocutori erano di un perfezionismo assoluto: ogni dettaglio veniva controllato meticolosamente in più step, la radica di rivestimento interno esaminata centimetro per centimetro alla ricerca di eventuali difetti. Il tutto però gestito con una gentilezza e una professionalità assolute».
Se il lusso è un campo in cui Conforti tocca vertici di rara raffinatezza, esiste però anche una fetta di produzione esteticamente intermedia che si colloca immediatamente al di sopra delle casseforti basic (per intenderci gli austeri parallelepipedi in metallo grigio che la parola ci evoca): «sono prodotti un po’ più carini» è ancora Valentina a spiegare «nel caso in cui li si voglia tenere a vista, li realizziamo in colori anche vivaci – verde, rosso scuro o blu – e talvolta sono impreziositi da piccoli dettagli come borchie a imitazione di quelle dei bauli da viaggio ottocenteschi oppure maniglie istoriate. E d’altro canto un tempo bauli e forzieri rivestivano il ruolo che oggi hanno le casseforti perché vi venivano riposti gli oggetti di valore, soprattutto quando ci si spostava». Di fatto sono queste casseforti «comuni» ad avere la fetta di mercato privato più ampia con, sorpresa, la possibilità oggi di acquistarle anche online. Sì, perché da qualche anno Conforti ha un e-commerce che sta diventando interessante sia pure con tutti i limiti e le difficoltà che inevitabilmente un oggetto di quel peso e di quella dimensione pone: «Non è un acquisto d’impulso, non è come con un paio di scarpe. Poi il cliente spesso non sa esattamente quale sia il prodotto più giusto per le sue esigenze di sicurezza e quindi dobbiamo fornire comunque a monte una consulenza tecnica, dobbiamo far capire che la soluzione domestica non può essere la cassaforte a muro, che noi vendiamo, ma che serve giusto per riporci qualche oggettino quando si va in vacanza. Se hai dei preziosi o dei contanti, come minimo devi pensare a una cassaforte di Grado I che, però, pesando meno di una tonnellata, va ancorata al pavimento. E poi c’è da considerare l’aspetto logistico, bisogna organizzare la spedizione e il trasporto al piano il che comporta l’impiego di una squadra di almeno 2-3 persone e l’utilizzo di strumenti particolari per superare gli eventuali ostacoli. Insomma, non è scherzo e incide sul prezzo globale anche del 20-30%».
Valentina riveste in Conforti anche un altro ruolo, intriso di affettività: oggi è lei la «custode» della magnifica collezione di chiavi, serrature e forzieri che il padre Leopoldo ha raccolto a partire dal 1970, più di 700 pezzi che coprono un arco di tempo importante, dall’epoca romana fino a metà Ottocento circa, quando con l’inizio dell’età industriale, la maestria artigiana in questo settore è stata gradatamente sostituita dalla produzione in serie. Ospitata in un caveau all’interno dell’azienda, visitabile su appuntamento (ma in questo momento e fino al 2 giugno 2024 in mostra a Castelvecchio in Verona), è considerata la più importante e completa in Italia, anche perché integrata da una biblioteca di libri e trattati antichi e moderni sulle chiavi. I pezzi sono tutti di grande bellezza, ma alcuni sono degni di un museo per la loro unicità: per esempio, tra le chiavi a rosone (così chiamate per il finissimo traforo che ne orna la testa e che ricorda il rosone di una cattedrale o un merletto), una riporta sullo stelo nome ed effigie del proprietario, il doge veneziano Leonardo Loredan (1436-1521), o, per spostarsi sulle serrature, un rarissimo modello a libro, risalente al XIV secolo, aprendosi mostra tre scene, la Crocifissione al centro e l’Inferno e il Purgatorio rispettivamente a sinistra e a destra con, ai piedi della croce, una salamandra (simbolo di resurrezione) che cela la toppa della chiave. Senza dimenticare la chiave napoleonica con testa foggiata a corona d’alloro e mappa (è la parte che si infila nella serratura) ad aquila imperiale con i fulmini tra gli artigli o le chiavi «a lanterna», che nella forma richiamano appunto le lanterne delle carrozze.
Leopoldo ha trasmesso la sua passione alla figlia che si occupa della collezione con lo stesso trasporto del padre: «D’altronde chiavi e serrature sono all’origine del nostro lavoro – sottolinea Valentina – esprimono lo stesso bisogno di sicurezza e di salvaguardia di ciò che si possiede che si protende a coprire tutta la storia umana».