Cultura

Piccolo Lemmario della Cultura d’impresa: #MADE IN ITALY

C’è una celebre frase dello storico Carlo Cipolla che più di ogni altra sintetizza l’essenza del Made in Italy e proprio per questo motivo viene spesso citata: “Gli Italiani sono abituati fin dal Medioevo a produrre, all’ombra dei campanili, cose belle che piacciono al mondo”. Medioevo cioè storia, campanili cioè territori e bellezza: sono i tre fattori che hanno decretato negli anni il successo della manifattura italiana che in export vale, secondo il 36° Rapporto ICE* “L’Italia nell’economia internazionale”, quasi un terzo del nostro PIL, per la precisione il 32%. Il documento infatti evidenzia come a fine 2021 l’export italiano abbia toccato i 516 miliardi di euro con un balzo del 18,2% rispetto al 2020 e del 7,5% rispetto ai livelli pre-Covid, numeri che fanno dell’Italia l’8° Paese esportatore nel mondo. La tendenza alla crescita è confermata nei primi sei mesi del 2022 che, confrontati con l’analogo periodo dell’anno precedente, vedono un incremento del 22,4%. Il Made in Italy quindi sembra aver retto egregiamente le criticità determinate dalla pandemia e successivamente dagli scenari aperti dalla guerra in Ucraina.

Se è vero che il termine è ormai sinonimo di alto livello qualitativo, cura dei dettagli, durevolezza, creatività e fantasia, in pochi sanno che il concetto a esso sotteso ha una data di nascita ben precisa: 12 febbraio 1951. Quel giorno a Firenze Giovan Battista Giorgini, che oggi sarebbe definito un buying agent, ospita nella sua abitazione privata l’High Fashion Show il cui programma era stato illustrato in una lettera circolare inviata un paio di mesi prima alle varie case di moda italiane: “Fino dal 1923 sono in contatto col Mercato Nord Americano e rappresento molte fra le migliori Case che importano i nostri prodotti di arte e artigianato. Di ‘moda’ non si è mai parlato in senso pratico, essendo Parigi il loro centro vitale. Sono però sempre stati molto apprezzati i nostri accessori per Moda – quali: borse, sciarpe, guanti, ombrelli, scarpe, gioielli ecc. Poiché adesso gli Stati Uniti sono orientati molto benevolmente verso l’Italia, mi par giunto il momento di tentare una affermazione della nostra Moda in quel mercato.” La sua idea era di presentare 18 modelli di 12 case di moda, tra cui Sorelle Fontana, Emilio Pucci, Schubert, a un pubblico estremamente selezionato: solo 6 tra i più importanti compratori americani. L’evento fu uno strepitoso successo ed ebbe il merito di far conoscere la moda italiana oltreoceano.

Sarebbero passati trent’anni prima che quel riconoscimento si trasformasse nel marchio che oggi tutti conosciamo, dobbiamo cioè arrivare agli anni Ottanta quando gli imprenditori italiani si posero il problema della difesa della loro produzione dalle falsificazioni, frequenti soprattutto in quei settori che rappresentavano la nostra eccellenza e che venivano chiamati “le 4 A”: abbigliamento, agroalimentare, arredamento, automobili. Quelle tre parole inglesi, made in Italy, indicavano una raffinatezza e un’unicità certificate, frutto di un tessuto produttivo del tutto peculiare: un contesto di imprese di piccolissime, piccole e medie dimensioni, spesso a carattere famigliare, che erano riuscite a trasferire su larga scala il know how di un artigianato vecchio di secoli e che spesso erano concentrate nei cosiddetti “distretti”, aree geografiche circoscritte e ristrette che nella loro storia avevano sviluppato competenze legate a determinati prodotti tipici. Un quadro non molto dissimile da quello attuale visto che circa il 95% delle imprese attive in Italia sono microimprese con un numero di dipendenti inferiore a 10 mentre le piccole e medie imprese (intendendo quelle con un giro d’affari inferiore ai 50 milioni di euro) sono il 4,86% ma da sole sono responsabili del 41% dell’intero fatturato italiano. Non solo, i distretti sono ancora considerati cruciali ** soprattutto in termini di competitività, numero di brevetti e capacità di presidiare i mercati esteri.

Sono questi attori – spesso celati dietro marchi ben più altisonanti – che con capacità e gusto per il bello, conferiscono alla produzione del nostro Paese il suo straordinario appeal. Ma soprattutto è la cultura che permea l’Italia ad aver fatto del Made in Italy un vero e proprio brand che va al di là delle eccellenze industriali per diventare espressione di un life style ammirato in tutto il mondo. È per questo motivo che si è sempre imposto il problema della sua salvaguardia.

Purtroppo va registrato come la normativa europea con la sua complessità non aiuti in questa tutela. Infatti il marchio può essere applicato sia quando un prodotto è interamente realizzato in Italia sia quando lo è in parte e in parte invece è stato fabbricato in Paesi diversi purché però in Italia sia avvenuta l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale. Quindi se un prodotto è costituito da più parti realizzate tutte all’estero, ma poi assemblate in Italia può comunque fregiarsi del marchio così come lo può fare un prodotto assemblato all’estero a partire da semilavorati di origine italiana purché all’estero non subiscano trasformazioni sostanziali. Peccato che tale norma non sia accompagnata da specifiche più chiare su quale siano le lavorazioni sufficienti a determinare il marchio d’origine. E va aggiunto che il quadro è reso ancora più spinoso per via degli accordi bilaterali o multilaterali tra Unione Europea e altri Paesi che possono modificare tale norma.

La normativa italiana ha provveduto a più riprese alla tutela del marchio attraverso l’inasprimento delle sanzioni nei confronti di chi mette in commercio prodotti con indicazioni tali da ingannare il consumatore sulla loro origine, la provenienza o la qualità. Soprattutto la legge 166 del novembre 2009 è interessante perché ha introdotto un nuovo marchio di origine: “100% Made in Italy” di cui possono fregiarsi solo i prodotti che sono stati interamente realizzati in territorio italiano, dal disegno alla progettazione, dalla lavorazione al confezionamento. È un riconoscimento che premia quelle aziende che continuano a ritenere il territorio fondamentale per la qualità dei loro prodotti e che dall’alto dei loro campanili guardano al futuro con la consapevolezza del loro passato.

*Per approfondire il 36° Rapporto ICE “L’Italia nell’economia internazionale” vai al seguente link

https://www.ice.it/it/studi-e-rapporti/rapporto-ice-2020

** Trovi il 14° Rapporto “Economia e finanza dei distretti industriali” di Intesa San Paolo al seguente link

https://group.intesasanpaolo.com/it/research/research-in-primo-piano/distretti-e-territorio/2022/rapporto-annuale-economia-e-finanza-dei-distretti-industriali-2022

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