Nel caso ci fosse sfuggito, troppo presi come siamo tra una call di lavoro e un incontro di paddle, il nostro pianeta è affollato. Le ultime stime ufficiale delle Nazioni Unite di questi giorni sono chiare: siamo 8 miliardi di abitanti sulla Terra. Una crescita esponenziale se consideriamo che fino all’altro ieri, giusto il battito di poco più di un decennio, eravamo “solo” 7 miliardi.
E se in Italia si fanno sempre meno figli, sappiate che mentre leggete questo post nei prossimi 4 minuti in Nigeria potrebbero venire alla luce 57 bambini, in India 172 e al di là della Grande Muraglia 103. Cifre da capogiro che devono farci riflettere.
Le foto sbiadite in bianco e nero, riposte con tanta cura nei cassetti delle nostre nonne, ci ricordano di un passato legato alla cultura rurale del nostro Paese, quando le famiglie – per necessità – erano decisamente più numerose di oggi e il numero di figli si contava a due cifre, non a una cifra e mezza.
Le immagini instagrammate a cui siamo abituati, ci catapultano invece in realtà agli emisferi opposti del globo dalla crescita affannosa e perennemente alla ricerca del proprio “El Dorado nazionale”, ammiccando ad uno lifestyle occidentale che fa ancora tendenza, se pur pregno delle sue contraddizioni.
La letteratura, come le scienze sociali e l’arte hanno toccato, denunciandolo con stili e toni diversi, il tema del sovrappopolamento e le sue conseguenze, tema che spesso diventa sinonimo di impoverimento culturale e sociale, violenza, degrado morale e repressione, oltre che sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali.
Tra questi non possiamo non ricordare un grande visionario del Novecento, lo scrittore inglese Aldous Huxley (1894-1963), scomparso lo stesso giorno dell’assassinio del presidente americano Kennedy, rappresentante di quella corrente di autori – insieme a Ray Bradbury e George Orwell – in grado raccontare mondi distopici in cui i grandi poteri totalitari prendono il sopravvento e controllano le masse, annichilite nella loro identità, privandole della libertà di pensiero critico, in una forma di totale asservimento allo stato di fatto. Tra le righe dei loro più famosi racconti di fantascienza, troviamo un monito per un futuro presente. Nel suo Brave New World del 1932 (Il mondo nuovo) – il cui titolo è ispirato a La Tempesta di Shakespeare – ci immergiamo in un mondo distopico in cui vige un regime totalitario sorretto dalla tecnologia e dalla scienza il cui fine è garantire un ordine stabilito e gerarchico secondo il sistema delle caste, in cui le persone sono create artificialmente attraverso una produzione in serie (Huxley si rifà alla teoria fordista) e vivono in un costante senso di pace e felicità garantito dalla somministrazione di una droga “soma” (dal greco σῶμα “corpo”) che permette di fuggire dalla noia e dalla solitudine, creando un sentimento alienante di benessere e felicità.
Tra gli scaffali delle nostre librerie, o surfando prosaicamente nel web, riscoprire le letture di questi autori è un po’ come riattivare dei sensori assopiti.
Per citare Neil Gaiman un altro grande del nostro tempo “…la speculative fiction non è efficace nel raccontare il futuro ma il presente. Prende un aspetto dell’oggi che ci preoccupa o sembra pericoloso e lo amplia, estrapolando le conseguenze fino a permettere al pubblico (ai lettori di adesso) di vedere cosa stia succedendo in realtà, ma da un punto di osservazione e un’angolatura inediti. Serve da monito.”
(Introduzione a Fahrenheit 451 di R.Bradbury, edizioni Mondadori)
Uscire dalla caverna è non solo una nostra responsabilità ma un diritto, essendo noi
“figli delle stelle, figli della notte che ci gira intorno
(…) Non ci fermeremo mai per niente al mondo.
Noi siamo figli delle stelle
Senza storia senza età, eroi di un sogno
Noi stanotte figli delle stelle
Ci incontriamo per poi perderci nel tempo.”
(cit. Figli delle Stelle di Alan Sorrenti)