È la morte della programmatic advertising?

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È la morte della programmatic advertising?

Chrome dice addio ai cookies parti terze: l’impatto in termini di Programmatic Advertising sarà importante. Tanto da decretarne la morte?

Per iniziare l’anno con il piede giusto serve proprio un bel boom! Lo dice anche Kindra Hall nel suo libro sullo storytelling: scompigliare le carte e creare distorsione per farsi ricordare. Non che a Google serva questo per farsi ricordare. Ci mancherebbe! Ma come capita a tutti, anche al Signor Google piace, ogni tanto, lasciare un segno… solo che quando lo fa lui, boom! In sostanza è quello che è successo con l’annuncio della rimozione dei cookies parti terze da Google Chrome prevista per il 2024. Che detta così sembra più una questione di privacy; importantissima per carità. Ma che, se la guardiamo sotto il profilo della comunicazione, è più un momento da Apocalypse Now: se i cookie parti terze sono quelli che permettono di registrare le preferenze dell’utente, dove e come naviga, quali sono i suoi interessi e, in buona sostanza, fare da tracciamento del comportamento online l’impatto che la loro rimozione dal motore di ricerca più usato al mondo (ripeto più usato al mondo) in termini di programmatic advertising sarà importante. Tanto da decretarne la morte? Non credo. Ma sicuramente tanto da ripensare il meccanismo dalla base. Facciamo un po’ di chiarezza.

 

Pubblicità programmatica: cos’è?

Con programmatic advertising si identifica una tendenza molto contemporanea che ha cambiato, di fatto, il volto e il modo di acquisire pubblicità e advertising online traghettando tutto il settore da un modello basato su buyer dedicati ad un modello basato su tecnologie automatizzate.

Il sistema si attiva nel momento stesso in cui un visitatore clicca sulla pagina di un qualsiasi sito internet che ha inserito uno spazio ADV (un banner in Home Page, ad esempio) che desidera vendere con la metodologia della programmatic advertising. A quel punto, mentre la pagina si sta caricando, il sistema di piattaforme automatizzate che sta alla base assegnerà quello spazio ADV ad un investitore interessato al target rappresentato dal nostro visitatore (uno Studio di Comunicazione se l’utente è un Marketing Director che sta navigando su un sito specializzato; ad esempio) sulla base di un complesso sistema di algoritmi, calcoli, costi e, ovviamente, anche asta di prezzo per quello spazio specifico.

Tutto questo nel giro di qualche secondo. Talmente veloce che l’utente non se ne accorge nemmeno. Come è possibile? Semplicemente utilizzando diverse metodologie comunque basate sui dati. Puoi trovare qui un approfondimento sul tema.

 

Perché l’eliminazione dei cookies parti terze è una minaccia a questo modello?

La risposta è insita nel meccanismo stesso di pubblicità programmatica. Senza i cookies parti terze è quasi impossibile – difficilissimo se vogliamo essere buoni – tracciare gli interessi degli utenti della rete e questo, in termini digital, si traduce in una minore capacità di veicolare annunci mirati e specifici per target/utente/utilizzo. In sostanza è come se l’ADV andasse alla cieca non potendo più contare su quel meccanismo di re-targeting che è alla base di tutto il modello. E, di conseguenza, la possibilità che questa diventi inefficace si amplifica. In aggiunta, si apre anche lo scenario di valorizzazione: ammesso e non concesso che l’ADV in questione arrivi correttamente sul target settato, senza tracciamento diventa complesso attribuire la lead generata alla campagna specifica con ricadute su tutto il funnel di vendita. Insomma, nel bene o nel male questo passaggio segnerà un cambiamento radicale nel modo di fare advertising online.

 

Ma a volte la parola fine, significa inizio

Tuttavia, è chiaro che il mondo della comunicazione non può restare a guardare inerme. Giammai. Sicuramente questa fine segna l’inizio di un nuovo percorso per il programmatic advertising in cui modelli nuovi – magari basati si meccanismi di AI e di machine learning o di tecnologie avanzate di segmentazione degli utenti attraverso i dati – permetteranno di continuare a sfruttare le potenzialità della rete per attività di advertising online.

Si parla già di modelli di:

  • analisi di contesto: ovvero di analisi della semantica e del contesto della pagina web per decretare modalità di targeting/retargeting;
  • FloC: ovvero raggruppamento degli utenti in gruppo (coorti) di interesse e dunque advertising non più 1to1, ma verso un gruppo;
  • segmentazione del comportamento: ovvero spinta verso l’acquisizione di utenti con modelli di “fedeltà” che coinvolgono i cookie “first party” non coinvolti, al momento, nella nuova visione.

Quel che è certo è che la soluzione verrà trovata. I modelli evolvono in risposta all’evoluzione del contesto e del settore e, al momento, siamo solo agli albori di questa nuova era.

 

Conclusioni

Quindi? Che cosa succederà? Ad oggi si possono solo fare previsioni e ragionare su nuovi modelli che possono simulare lo scenario più verosimile possibile. Fermo restando due punti fermi: il primo – come abbiamo detto – è la continua e forte spinta evolutiva del settore che, di fatto, lo rende fortemente mutevole. Il secondo, che la risposta vera è che probabilmente solo gli addetti ai lavori percepiranno fortemente questo cambiamento, gli stessi che sono anche promotori di nuovi modelli. Ne riparleremo, sicuramente, sul finire dell’anno. Per ora resta la forza dirompente della notizia arrivata da Mountain View che apre le porte ad una nuova era del programmatic advertising. Staremo a vedere.

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