Se fosse così facile ci riusciremmo tutti. Ma non è così. Come ogni aspetto della comunicazione, anche il Growth Hacking ha le sue regole e le sue competenze. Ne abbiamo parlato con Raffaele Gaito – massimo esperto italiano di Growth Hacking.
Ma prima, diamo una definizione del fenomeno e una cornice di riferimento.
Come dice la parola stessa, il Growth Hacking significa “pirateria della crescita”; ovvero tutto quell’insieme di tecniche e strategie che concorrono alla crescita (rapida) di un business. Parliamo di competenze digitali e multi-disciplinari che spaziano dal design al marketing fino alla programmazione. Il tutto si basa sull’analisi dei dati per definire strategie digitali – più o meno aggressive – in grado di influenzare la customer journey per accorciare il funnel di vendita e generare, di contro, maggior business e, dunque, crescita.
Il fenomeno è relativamente recente. Si inizia a parlare di Growth Hacking nel 2010 negli Stati Uniti per mano di Sean Ellis che nel suo blog ha scritto:
“a person whose true north is growth. Everything they do is scrutinized by its potential impact on scalable growth (il growth hacker è una persona che guarda alla crescita come al faro cui tendere. Tutto quello che i growth hacker fanno è da guardare sotto la lente di ingrandimento dell’impatto sulla crescita scalabile…)”
Massimo esperto italiano in tema di Growth Hacking, Raffaele Gaito è un growth-hacker, imprenditore, startup mentor e blogger italiano autore di un interessante volume sul tema: Growth Hacker. Mindset e strumenti per far crescere il tuo business.
Con lui, abbiamo voluto far chiarezza sul tema.
D: Oggi Growth Hacking è sulla bocca di tutti. Molto spesso, però, il termine è usato a sproposito. Quali sono i 3 elementi fondamentali e imprescindibili del Growth Hacking vero?
RG: Il Growth Hacking è un metodo per portare un processo di sperimentazione e innovazione in azienda. Tutto qui, molto facile. Chi usa la parola Growth Hacking per fare altro, sta facendo confusione o è in malafede.
D: Mi ha colpito il fatto che nel tuo libro hai più volte sottolineato il concetto di mindset; ovvero la necessità di porsi nella corretta ottica. Lo trovo davvero particolare e nel contempo interessante; significa che non è solo questione di tecnica, ma che sono fondamentali anche soft skills che vanno oltre la technicality pura.
RG: Assolutamente sì! Ed è una cosa che ho imparato a mie spese col tempo. Io sono uno smanettone e per tanto (troppo) tempo nella mia carriera ho dato peso solo ed esclusivamente agli aspetti tecnici della questione. Per quanto siano importanti strumenti, tattiche e trucchetti, lo è ancora di più l’approccio con cui facciamo queste cose.
Ecco perché metto sempre l’accento sul mindset. Perché coinvolge cose come la cultura aziendale, la strategia nel lungo periodo, la visione e così via. Le aziende cambiano se cambiano le persone al loro interno.
D: Come si combina e bilancia il Growth Hacking con il tema privacy e GDPR?
Come tutte le altre attività di marketing e non solo. In qualsiasi strategia, campagna o esperimento dobbiamo essere consapevoli di quello che dice la legge. Ma ancora di più, direi che dobbiamo essere rispettosi delle volontà degli utenti. In passato è stato un po’ un far west, ma ora (come è giusto che sia) dobbiamo muoverci nel rispetto degli altri.
D: Mi ha colpito anche, ascoltando una tua lezione frontale (quando era possibile), il ruolo del fattore rischio/predisposizione alla sperimentazione che il Growth Hacking porta con sè. Tempo, mindset, possibilità di errore calcolato… a quale di questi fattori un’azienda che vuole fare Growth Hacking non può rinunciare?
RG: A nessuno! Se un’azienda vuole abbracciare il mindset della sperimentazione deve farlo seriamente. E farlo seriamente significa lavorare sul cambiamento della cultura aziendale, dei processi di lavoro e del mindset con cui si fanno le cose.
D: Da ultimo ti chiedo: sei una persona paziente?
RG: Di mio no, ma ho imparato come allenarla.
Il malinteso sulla pazienza è pensare che o ci nasci o sei condannato.
Non è assolutamente così, per me la pazienza è come un muscolo, qualcosa che possiamo consapevolmente decidere di allenare.
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