Un ricordo vale più di mille parole: verità indiscutibile.
Basti pensare a quanto siamo, tutti noi, gelosi e protettivi con i nostri oggetti personali dell’infanzia; ad esempio. Io stessa conservo con amore il mio pupazzo in pezza di quando ero bambina. Ma non solo. Quanti di noi ricordano con ammirazione i meravigliosi Cinquanta? E quanti la Disco-Music dei Settanta? La Generazione Z probabilmente non sa nemmeno di che cosa sto parlando… e questo mi fa pensare non solo a quanto sono (ahimè) âgée, ma anche a quanto il ricordo stesso abbia potere in questo.
Chiaramente tutto questo potenziale, letto in chiave di brand, diventa una fonte importante cui attingere per le attività di marketing & comunicazione. Tanto da parlare di un vero e proprio MARKETING DELLA NOSTALGIA.
IL POTERE DEI RICORDI
Tutti noi siamo fatti di ricordi che determinano la nostra persona, i nostri processi, le nostre radici. Delineano chi siamo. Per questo i ricordi sono così preziosi per ciascuno di noi. E nello stesso tempo importanti. Sono la nostra essenza. Il nostro passato che innesca il nostro presente e il nostro futuro. In ambito scientifico – sapete che a noi piace ragionare in termini di Neuromarketing – “nel momento in cui stiamo imparando qualcosa (formando una memoria, un ricordo) si osserva un aumento nella frequenza di scarica tra i neuroni coinvolti, così come un aumento della quantità di neurotrasmettitori, di uno in particolare: l’acetilcolina. La formazione di un ricordo è un evento in cui quindi il cervello dà prova della sua grande plasticità, con la formazione di nuove connessioni o il rafforzamento di altre”.
In altre parole, la nostra memoria è emozionale ovvero fortemente influenzata da emozioni, sensazioni, sentimenti, relazioni… una memoria che si struttura sul ricordo – positivo o negativo – di un evento passato per determinare un nuovo corso per il presente e il futuro. Certamente siamo più portati a ricordare eventi positivi. Ma in generale, il nostro cervello immagazzina emozioni che per noi hanno valore e significato. Ed è per questo che ci ricordiamo anche del bulletto delle elementari….
I RICORDI NELLA COMUNICAZIONE: MARKETING DELLA NOSTALGIA
Tutta questa premessa per dire cosa? Che in comunicazione nulla viene per caso… al contrario. Oggi esiste una scienza comunicativa specifica che fa dei ricordi un grimaldello per generare engagement nel proprio audience. Infatti sempre più spesso si trovano strategie orientate a far emergere nel proprio pubblico ricordi legati al passato con il duplice obiettivo, da un lato, di riportare determinate generazioni verso un universo conosciuto e positivo e, dall’altro, di stimolare la curiosità in quelle nuove. Diciamo che, per essere molto pratici, il MARKETING DELLA NOSTALGIA funziona molto bene con la Generazione Y; i nati tra gli anni Ottanta e il Duemila. Quelli, insomma, della mia generazione… e vi dico che funziona alla grande; ho appena speso una piccola fortuna per acquistare un set completo di elettrodomestici vintage anni Cinquanta di una nota marca italiana.
Tornando a noi… MARKETING DELLA NOSTALGIA perché di fatto, guardando alla realtà delle cose, non si fa altro che portare di nuovo in vita degli archetipi positivi del passato facendoli rivivere in chiave contemporanea. Potremmo dire che è quasi una sorta di re-branding: torno alle origini (vincenti) per continuare a posizionare positivamente il brand attraverso azioni integrate e sinergiche di brand storytelling, advertising, digital marketing e quant’altro.
MARKETING DELLA NOSTALGIA: PERCHE’ FUNZIONA?
Lo abbiamo detto prima… la nostra memoria è emozionale e il MARKETING DELLA NOSTALGIA fa leva proprio su questo: cerca di ricreare un legame emozionale forte con il passato, con il ricordo di un’esperienza positiva – ormai superata. Ed ecco perché è più performante in una generazione che non è nativa digitale… una generazione che ha dei ricordi fisici, tangibili, empirici. Ma non solo. Funziona perché fa leva proprio su un meccanismo di Neuroscienza che si definisce “ricordo roseo”. Ovvero il fatto che il nostro ricordo è, oggi, più positivo di quanto non fosse quando l’evento è accaduto. Il nostro cervello positivizza la memoria e ci porta alla mente ricordi più rosei. Il MARKETING DELLA NOSTALGIA sfrutta questo meccanismo inserendo in un contesto incerto – per definizione quello che dovrà accadere; cioè il futuro – una serie di emozioni di un passato certo. Roseo. Emozionalmente positivo. E quindi più stabile. E’ un ritorno alle radici della persona e, nello stesso tempo, del brand.
IL MARKETING DELLA NOSTALGIA NON E’ PER TUTTI
Per converso, chiaramente, il MARKETING DELLA NOSTALGIA non è per tutti. Innanzitutto, come abbiamo detto, è molto adatto alla generazione Y. Ma non tutte le aziende hanno la possibilità e l’opportunità di operare in tal senso. E’ necessario che il brand si fortemente radicato e storico, posizionato correttamente e di grande memorabilità. Altrimenti detto: se non si è lavorato bene di brand identity e brand awareness non si può pensare al MARKETING DELLA NOSTALGIA. Il perché è presto detto: per generare emozioni e ricordi è necessario in primis essere consolidati nella storia e nella memoria del pubblico di riferimento e, parallelamente, è necessario che questo posizionamento sia positivo, forte e solido. Secondariamente, è – per sua definizione – una strategia che possono mettere in campo aziende storiche con un lungo cammino alle proprie spalle. Proprio per poter far leva su valori che vengono da una lunga cultura d’impresa. E questo vale sicuramente tanto per le aziende B2C – orientate per definizione al consumer – quanto per le aziende del B2B. Oggi, come abbiamo già avuto modo di dire, la distanza tra questi due mondi si sta assottigliando proprio in virtù di quella che viene definita comunicazione H2H; ovvero una comunicazione in cui la persona è al centro del processo. E se nel B2C questo è, di fatto, naturale; nel B2B sta diventando tale nella misura in cui le aziende sono interpretate non tanto (o non più) come business unit ma come human unit. Oggi parlare da Business a Business significa rapportarsi con persone che hanno una dimensione personale e umana oltre l’azienda. Persone che, ad esempio, fanno parte del mondo Marketing. Ma che sono molto di più di un CMO. Persone che hanno abitudini, esperienze, emozioni e ricordi che portano attivamente all’interno del business. Ed è chiaro, quindi, che – in questa logica – il senso di business per il business (B2B) può (e forse deve) essere riletto e re-interpretato come uno scambio business/human per il business/human. Cliente su cliente; dove entrambi i fattori sono umani oltre l’azienda. E allora, ri-allacciandoci a quanto detto, torna prepotentemente e prioritariamente il ruolo dell’emozione, del ricordo, della nostalgia che investe la sfera personale per passare – in un continuum – alla sfera aziendale.
Attenzione che tutto questo non significa dare del proprio brand un’immagine antiquata. Al contrario. Significa dare un’immagine contemporanea che fonda le sue radici in una storia fortemente ancorata nel tempo, positiva e memorabile.
Non è per tutti. Ma per chi può e ha l’ardire di provare ad esprimere la propria identità dando cuore e voce a tutto questo patrimonio di valori è sicuramente una strada di innovazione retrò.