Lo studio e la ricerca del Brand Naming sono fondamentali per l’attribuzione di un nome appropriato a un prodotto o a un servizio.
Si tratta di una delle colonne portanti del marketing mix (Product, Price, Placement, Promotion) e ha la funzione di rendere immediatamente riconoscibile e identificabile un prodotto.
Come confermano i pubblicitari americani Ries e Trout, “Il Brand Naming é senza dubbio l’elemento più importante all’interno del branding mix perchè è destinato a rimanere immutato nel tempo”.
Il naming, affiancato a un logo e a un’identità visiva, è componente essenziale del brand e lo connota nei confronti dell’esterno perchè racchiude in sé tutte le caratteristiche, la storia, la reputazione di ciò che è chiamato a rappresentare. Dotare un prodotto di un naming incisivo e coerente è dunque fondamentale per sperare di ottenere un riscontro positivo da parte degli stakeholder e dei clienti.
Nello scenario attuale in cui la vendita del prodotto o servizio al di fuori dei confini nazionali rappresenta un’opportunità preziosa o una necessità si avverte l’ulteriore esigenza di far sì che il proprio brand naming presenti gli stessi elementi determinanti anche in ambienti nei quali esistono sistemi linguistici e culturali diversi.
In un mondo sempre più globalizzato, l’azienda deve quindi riuscire a veicolare gli stessi significati e rendere gli stessi effetti attraverso l’uso del proprio brand name.
Pertanto, è necessario, in primo luogo, analizzare le implicazioni ai vari livelli linguistici (fonetico, semantico, etimologico, retorico e semiotico) che il naming presenta.
Mai come in questi tempi, in cui anche la comunicazione è sempre più globalizzata e “inclusion & diversity” sono elementi portanti, è necessario prestare attenzione a che il naming, oltre che essere chiaro, rispetti le culture altrui e non sia discriminatorio nei confronti di categorie, nazionalità o religioni.
In questa ottica si è mossa anche l’OMS che, a proposito di Covid, ha annunciato la nascita di “nuove etichette facili da pronunciare per SARSCoV2 Variants of Concern (VOC) & Interest (VOI)”, ufficializzando lo stop all’abbinamento tra nome della variante e regione geografica in favore di una classificazione attraverso le lettere dell’alfabeto greco, raccomandando alle varie nazioni l’utilizzo dei nuovi naming.
Le nuove definizioni, chiamate “etichette“, sono stati scelte dopo un’ampia consultazione e una revisione di molti potenziali sistemi di denominazione avvalendosi di esperti di tutto il mondo.
Dunque, in base a questo nuovo “codice”, la variante “inglese” di coronavirus si chiamerà Alfa, la “sudafricana” Beta, l’”indiana” Delta e così. L’OMS precisa come queste etichette non sostituiscono i nomi scientifici esistenti, che trasmettono importanti informazioni scientifiche e continueranno ad essere utilizzati nella ricerca, ma incoraggia le autorità nazionali e soprattutto i media all’adozione dei nuovi codici, per evitare effetti discriminatori verso alcuni Paesi.
Come ha affermato Maria Van Kerkhove, Epidemiologa dell’OMS, “Nessun paese dovrebbe essere stigmatizzato per l’individuazione e la segnalazione di varianti”.
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