La Lezione di Gaia

Workout Magazine - Studio Chiesa communication

La Lezione di Gaia

Heritage al femminile: Workout magazine incontra Beatrice Castellini, Communication & Sustainability Manager di Castellini S.p.A.

La bimbetta arranca sul prato antistante la palazzina degli uffici: i capelli spioventi sul viso, il corpo gracile teso in avanti nello sforzo di trascinare con una fune una balena spiaggiata. Un’immagine che colpisce. E che commuove: «Per mio padre è stato amore a prima vista, – racconta Beatrice Castellini, Communication & Sustainability Manager di Castellini S.p.A. – la scultura era al centro di una grande rotonda a Faenza e lui ne è rimasto così affascinato da continuare a girarle attorno». Di lì al commissionare all’autore, l’artista bresciano Stefano Bombardieri, una versione destinata alla sede dell’azienda il passo è stato breve: «L’installazione di Faenza era in vetroresina ed era più realistica, la nostra è in metallo calandrato il che le ha conferito una sagoma più geometrica, ma l’impatto emotivo è rimasto immutato: Gaia e la balena – questo il titolo dell’opera – rappresenta la determinazione nel fare qualcosa che viene reputato impossibile, sottolinea l’importanza di non perdere mai di vista il proprio obiettivo ed evoca la certezza che se sei davvero convinto di riuscire in un’impresa, riuscirai a persuadere anche gli altri di questa possibilità, a contagiarli con la tua tenacia, a far loro oltrepassare gli inevitabili momenti di scoramento. Tutto questo siamo noi, ed è quello che ci auguriamo di continuare ad essere».

Gaia e la balena, l’installazione di Stefano Bombardieri collocata di fronte all’ingresso degli uffici di Castellini S.p.A.

Superare le difficoltà senza demordere è la mission di Castellini, fino a ieri Castellini Officine Meccaniche srl e da pochissimo Castellini S.p.A. Società Benefit, azienda di Cazzago San Martino, uno dei tanti paesi della Franciacorta dove la bellezza della campagna riesce a convivere con l’operosità manifatturiera tipica di questo territorio. 75 anni di vita, tutti trascorsi nello stesso luogo – anche se, come vedremo, non nella stessa sede –, 38 milioni di fatturato previsti nel 2024 che arrivano a 42 con il consolidato di due società neoacquisite, LLS Titanium e Carbon-Ti, un mercato che per il 77% è in Europa con un panorama di competitor reso striminzito dalla difficoltà di garantire elevatissima qualità e precisione su componenti molto complessi. Ma andiamo con ordine affidando a Beatrice il compito di raccontare l’impresa, che è della sua famiglia da ormai tre generazioni.

Vista dall’alto del complesso di Castellini S.p.A.

«In Castellini abbiamo due anime: Machining e Solution. La prima rappresenta il nostro core business storico – quello nato con mio nonno – l’officina meccanica che realizza componenti e attrezzature complesse per il settore della siderurgia, in particolare per la laminazione dei prodotti piani: sono tutte produzioni su commessa e rappresentano gli assiemi più complicati, le parti più “sensibili” dei laminatoi, quelle che richiedono attenzione e precisione particolari e per le quali il cliente esige qualità e affidabilità al massimo livello. Solution sviluppa invece impianti di processo che applicano la tecnologia laser, in particolare per il taglio e la saldatura delle lamiere piane e per il loro trattamento superficiale, per esempio con i sistemi di laser scribing e degreasing. Sono destinati ai laminatoi oppure ai cantieri navali, per esempio abbiamo da poco installato per Fincantieri a Riva Trigoso una panel line, che applica una tecnologia brevettata in partnership con loro e che prevede una tecnica di saldatura ibrida in una configurazione che ci ha permesso di ottenere una saldatura efficace di due lamiere spesse 20 mm, con una sola passata. La panel line è in grado di realizzare i ponti delle navi accoppiando pannelli di lamiera, saldandoli, facendo tagli dove necessario e posizionando contemporaneamente anche le travi di rinforzo che vengono poi saldate. Al termine del processo, lungo quasi 140 metri, esce un pannello intero che è il piano di calpestio della nave. È una tecnologia che è stata studiata all’interno di SolutionLab, il polo di Solution dedicato alla ricerca e all’innovazione, gestito da un team di fisici e ingegneri e dotato di un laboratorio all’avanguardia».

Reparto fresatura di Machining: in primo piano, lavorazioni destinate ai tubifici.

Solution merita qualche parola in più perché trae origine da una brillante intuizione di Fiorenzo Castellini, padre di Beatrice: «Questa business unit è nata nel 2018 quando abbiamo ceduto TTM Laser, la nostra divisione che sviluppava macchine custom made a tecnologia laser per il taglio tubo. Mio padre aveva un duplice obiettivo: da un lato rientrare dall’investimento, decisamente importante, fatto per la costruzione della nuova sede, dall’altro abbandonare quella linea di prodotto, cioè il taglio tubo a laser, che vedeva un mercato competitivo molto affollato – anche se noi ci muovevamo su un terreno diciamo “tailor made” – mentre la lamiera piana era e resta tuttora un mercato con ampie possibilità di sviluppo. L’accordo che a suo tempo abbiamo fatto con il gruppo acquirente, Bystronic, ci manteneva la possibilità di sviluppare la parte di applicazione laser proprio sulla lamiera piana ed è quello che abbiamo fatto alcuni anni dopo con Solution, forti di tutta l’esperienza che nel frattempo avevamo accumulato in questo campo». Solution è veramente il fiore all’occhiello di Castellini perché, attraverso SolutionLab, sa rispondere a problemi industriali per i quali ancora non esiste una tecnologia mettendo quindi in atto, spesso in partnership, una R&D molto innovativa e centrata perfettamente sulle necessità del cliente. «È il nostro punto di forza quello di riuscire a trovare soluzioni originali e pionieristiche a richieste complesse – afferma Beatrice –, è sicuramente quello che ci fa scegliere».

Reparto montaggio di Machining: in primo piano la spalla di un laminatoio skin pass.

La capacità di «guardare oltre» di Fiorenzo Castellini si era estrinsecata già qualche anno prima, nel 2012, con la creazione di Teze Mechatronics: «Nelle intenzioni di mio padre doveva essere un incubatore di start-up nel campo della meccatronica, delle energie rinnovabili e della biomeccanica. In quel momento c’era il boom delle start-up, soprattutto digitali, molti volevano investire in quel campo con l’idea di ottimizzare, vendere e quindi guadagnare in tempi rapidi, ma questo non era il nostro pensiero: noi volevamo diventare partner e supporter per progetti di ricerca indirizzati a trovare nuove applicazioni in campo industriale, tant’è che di alcune delle realtà che sono nate a quel tempo siamo ancora soci. Oggi, avendo a disposizione gli spazi necessari e il team di SolutionLab che è una commistione di saperi, vogliamo rilanciare Teze Mechatronics con una nuova visione: trasformarla in un hub di ricerca industriale, un centro di eccellenza incentrato sulla tecnologia laser, riconosciuto e accreditato da partnership importanti con imprese e università». D’altro canto è proprio il potere di spesa di alcuni clienti di prima grandezza che può consentire alle università di portare avanti ricerche su tematiche che altrimenti si arenerebbero a causa dei costi elevati. «Per esempio, in questo momento – dice ancora Beatrice – abbiamo in utilizzo per i nostri studi un laser di grande potenza e… costo proporzionato che difficilmente l’università si potrebbe permettere. Quindi Teze Mechatronics sarà il luogo di elezione di una sinergia virtuosa tra università e imprese. Queste ultime in particolare hanno bisogno di ricerca pura proprio perché il laser è una tecnologia relativamente nuova, che ha uno sviluppo velocissimo e un campo di applicazione potenzialmente enorme e ancora da scoprire in tutte le sue sfaccettature. Alcune delle quali sono dei veri e propri casi di serendipità: facendo sperimentazione sul laser scribing, che è una tecnica utilizzata per migliorare le proprietà magnetiche dell’acciaio elettrico agendo sulla struttura della superficie con l’ottimizzazione dell’orientamento del grano magnetico, ci siamo accorti che procedendo come facevamo, modificando geometria e intensità del fascio, si dava la possibilità di effettuare anche il degreasing, cioè la pulizia del materiale stesso. La pulitura del coil dopo la laminazione è un’operazione che oggi viene effettuata in grandi vasche con soluzioni acide, le quali creano poi problemi di smaltimento, e richiede grandi spazi, mentre con il laser la si può effettuare in modo più safe per l’ambiente e meno energivoro (con il metodo tradizionale le soluzioni acide devono essere mantenute calde)». L’applicazione di questa tecnologia diventerà a breve un brevetto, in partnership con una società sulla cui identità Beatrice mantiene il più stretto riserbo.

Un momento di una prova di saldatura all’interno di SolutionLab.

Esiste poi una terza business unit costituita dalle due recentissime acquisizioni di Castellini, LSS Titanium e Carbon-Ti, a cui si è aggiunta Breka, la società fondata una quindicina di anni fa da Giuseppe, fratello minore di Beatrice: sono realtà le cui produzioni si indirizzano a settori particolari, contigui o affini fra loro, primo fra tutti l’aerospace. L’ambizioso progetto di Giuseppe Castellini è di farne un piccolo, ma sofisticato hub tecnologico in grado di fornire proprio al campo aerospace una serie di prodotti e servizi che sul territorio italiano è complicato reperire. Spiega Beatrice: «In Italia in questo settore, dal punto di vista industriale e potrei dire anche tecnologico, siamo molto avanti. Il problema è che siamo anche molto frammentati in tante piccole realtà che spesso non riescono a emergere perché non fanno sinergia di gruppo. La nostra intenzione è di compattarle, di creare una compagine che sappia interfacciarsi anche con le grandi aziende, con il big customer, perché esprime solidità e garanzia. In questa operazione sinergica andremo a ottimizzare una serie di processi – per esempio accorperemo tutto quanto concerne l’amministrazione, servizi IT e l’HR – centralizzandoli in modo da alleggerire le singole imprese di alcuni costi che potranno essere invece indirizzati alla crescita e alla ricerca».

Nelle parole di Beatrice si respira entusiasmo, effervescenza, voglia di fare: «Le sfide e le novità ci stimolano e ci tengono attivi, la nostra unica paura è di annoiarci» ride. E poi continua: «D’altronde è anche un modo per fronteggiare la concorrenza, senza contare che noi operiamo con veri e propri colossi, al cui confronto siamo un granello di sabbia. Con l’atout però di essere snelli e perciò veloci. Diciamo la verità, un grande gruppo industriale potrebbe “farsi in casa” tutto il processo, ma non di rado con lentezze, legate alla sua complessità strutturale, che possono vanificare la bontà di un’idea. Perché non basta riuscire a “metterla a terra”, conta anche il tempo che ci impieghi a farlo».

L’attitudine a mettersi continuamente in gioco, a reinventarsi, è nel DNA di famiglia a cominciare dal fondatore dell’azienda nonché nonno di Beatrice: Giuseppe Castellini. Anche lui, come tanti imprenditori del «miracolo italiano» ha iniziato dal nulla. Nato, ultimo di cinque fratelli, nel 1926, già da bambino sperimenta la durezza del lavoro nei campi che contende il tempo alla scuola e quando, a 14 anni, perde il padre, anche la parola «scuola» scompare. Bisogna fare la propria parte per sostentare la famiglia e la via maestra è entrare come apprendista in una fabbrica: imparerà l’arte del tornio che sarà davvero il suo primo amore. Un aneddoto che si tramanda nella famiglia Castellini racconta del fazzoletto annerito che la mamma di Giuseppe gli trovava invariabilmente nella tasca della tuta da lavoro: con quello Giuseppe lucidava ogni giorno il tornio, un gesto di affettuosa dedizione a uno strumento che lui viveva come se fosse suo. In Giuseppe però l’amore per il suo lavoro si coniuga con l’ambizione: da tanto tempo ha in testa un’idea, mettersi in proprio. Nel 1949 ci riuscirà: nasce la Castellini Officine Meccaniche che recupera residuati bellici e li trasforma in macchine agricole. Seguiranno anni durissimi, di lavoro incessante e incessanti sacrifici, a poco a poco però il lavoro decolla, le commesse aumentano e nel 1960 Giuseppe imprime una prima svolta alla sua attività imprenditoriale passando alla realizzazione di macchine per la cartotecnica e la legatoria: «Il nonno aveva fiutato che l’editoria stava diventando un mercato interessante e aveva deciso di cavalcarlo». Gli anni Settanta vedranno una seconda svolta sottolineata dal trasferimento in una nuova sede, ben 2400 metri quadrati, e, proprio all’annunciarsi del nuovo decennio – gli anni Ottanta – dall’acquisto del primo tornio a controllo numerico utilizzato per la costruzione di bulloneria speciale di grandi dimensioni. È in quel momento che entra in scena Fiorenzo Castellini che all’epoca è un diciannovenne fresco di ITIS, ma già deciso a lasciare la sua impronta nell’azienda di famiglia a cui sacrifica, senza alcun rimpianto, la prosecuzione degli studi.

Giuseppe Castellini e la moglie Agnese in una foto della metà degli anni Novanta.
Giuseppe Castellini circondato dai suoi dipendenti in una foto della fine degli anni Settanta.

Ma stiamo correndo troppo. Riavvolgiamo il nastro e cerchiamo di tracciare un ritratto più intimo e personale del fondatore, quello che emerge dalle parole della nipote e prima ancora da quelle dei primi collaboratori che si consideravano – e tali erano considerati – più amici che dipendenti. Gli aggettivi che più ricorrono nei loro ricordi sono: generoso, esigente, giusto, curioso, intraprendente, imbattibile per tutto quello che atteneva alla meccanica («apprendeva subito tutto e quello che non sapeva lo imparava o se lo inventava»), dotato «di un’umanità straordinaria». Per Beatrice, che ha potuto frequentarlo solo pochi anni perché è mancato che lei era bambina, è il nonno affettuoso che le faceva fare il giro sul muletto quando lo andava a trovare in azienda e che si metteva in ginocchio per farsi baciare. Di lui come imprenditore le restano le testimonianze dei genitori e dei dipendenti: «È sempre stato fortemente legato alla sua azienda e alle persone con cui lavorava, sapeva trasmettere la sua passione e il suo approccio attento al dettaglio e alla precisione tant’è che si diceva “Se lavori per Castellini, vuol dire che sei bravo”. Ed è stato il primo a portare i collaboratori in gita. Per esempio quando ha ottenuto la commessa per il Cern ha portato tutti a Ginevra per tre giorni a visitarne la sede».

Gita aziendale sul lago di Garda negli anni Sessanta.

Il Cern. La commessa che forse ha dato più notorietà alla Castellini, che intanto ha decisamente virato la sua attività sulla «produzione bulloneria speciale, cilindri oleodinamici, meccanica di precisione». Il nome dell’azienda comincia a girare nell’ambito delle aziende siderurgiche, degli impianti idroelettrici, petrolchimici, perfino nucleari, dove diventa presto sinonimo di know how tecnico, precisione e qualità. Saranno proprio queste caratteristiche a farle vincere la gara che il Cern indice per la fornitura di 10.200 martinetti idraulici che concorrono alla stabilità dell’anello, il tunnel percorso da fasci di particelle che si muovono a velocità prossime a quella della luce, motivo di orgoglio per Giuseppe Castellini che, come abbiamo raccontato, ci terrà a condividere con tutti i collaboratori. Le commesse arrivano anche da oltreoceano come i 36 cilindri oleodinamici che muovono le paratoie della diga di Yaciretà, tra Argentina e Paraguay.

Dietro questi successi non c’è solo l’eccellenza tecnica dell’azienda, c’è una nuova visione del lavoro, più versata nell’utilizzo delle nuove tecnologie, più attenta ai mercati esteri: merito soprattutto dell’ingresso di Fiorenzo che apporta fresche conoscenze, passione ancora incontaminata e acutezza imprenditoriale a tutto tondo. Sarà lui a traghettare l’impresa di famiglia nel nuovo millennio dopo la scomparsa del padre nel 1997. È una nuova fase che vede due importanti acquisizioni di aziende storiche bresciane (Restellini e Ronconi) e nel 2001 la fondazione di TTM che affranca definitivamente Castellini dalla condizione di sub-fornitore collocandola in una nuova e più prestigiosa dimensione che è quella che ancora le appartiene.

Un’anima divisa in due: questo è il primo pensiero ascoltando Beatrice raccontare di sé e del suo rapporto con l’azienda di famiglia. Condizione vissuta però senza il malessere che spesso accompagna il doversi o volersi dividere tra due ruoli diversi, anzi, con il piacere rilassato di chi si gode ambedue i campi: uno è Castellini, l’altro è l’architettura. «Ho scelto architettura, dopo il liceo, perché mi ha sempre affascinato, la considero un’arte complessa e assolutamente completa – racconta Beatrice – ma a quel tempo sentivo soprattutto il bisogno di allontanarmi da casa per fare le mie esperienze, di definirmi e di affermarmi al di fuori dell’azienda di famiglia anche se l’ho sempre sentita una parte di me. Ho scelto così di iscrivermi all’Accademia di Architettura di Mendrisio che è un ottimo ateneo, all’epoca ancora relativamente nuova, fondata da architetti, in primis Mario Botta, per formare architetti in grado di affrontare il lavoro futuro. Sembra lapalissiano, ma non lo è. Vi si respirava un’atmosfera da Bauhaus, l’architetto doveva essere anche ingegnere, designer, artista, con un’impronta davvero umanistica, a 360 gradi, che mi intrigava. Ho trascorso lì sei anni della mia vita». All’università seguono alcune esperienze all’estero e poi il rientro in Italia, a Milano dove Beatrice collabora con Andrea Tognon Architecture, un sofisticato studio che condivide il suo stesso approccio, si potrebbe dire olistico, all’architettura. Ed è ancora a Milano, dove nel frattempo ha conosciuto l’uomo che diventerà suo marito, quando riceve una telefonata che imprime una svolta importante alla sua storia: Itten+Brechbühl, un vero e proprio gigante dell’architettura svizzera con 400 dipendenti e 7 sedi, la vuole per una nuova succursale che deve nascere a Lugano. Beatrice accetta.

La famiglia Castellini durante i festeggiamenti per il 75° anniversario dell’azienda: da sinistra Beatrice, Giuseppe, Fiorenzo e Paola..

«Ci sono rimasta per 8 anni. Mi occupavo della progettazione di grandi edifici pubblici, quindi ospedali, scuole, aeroporti, strutture complicate anche dal punto di vista dell’organizzazione a cui il «contenitore» deve dare una forma. Era bellissimo perché per me l’architettura è proprio questa, ho avuto modo di sperimentare la visione della complessità e di affrontarla, di imparare a vedere qualcosa che ancora non c’è anticipandone tutte le problematiche, di studiare come unire il lato estetico con quello funzionale». L’entusiasmo di Beatrice non arretra nemmeno di fronte alla maternità: «sono tornata al lavoro che Carlo, il mio primo figlio, aveva 5 mesi e proprio in quel periodo mi sono occupata, con l’aiuto di una sola persona, della gestione totale del progetto per il concorso pubblico di una RSA per malati di Alzheimer, dall’idea iniziale alla consegna con un allargamento importante delle mie responsabilità». Gli occhi ancora le brillano mentre rievoca quegli anni di lavoro matto e disperatissimo, ma poi qualcosa si interrompe. E non solo per lei, per tutti: è arrivato il Covid. E Beatrice è nuovamente incinta.

«È cambiato tutto in quel periodo, sicuramente il modo di lavorare, ma anche quello di stare insieme. Si è detto che il lockdown è stato un banco di prova per una coppia: o era vero amore o scoppiava. Beh, a me e a mio marito stare a casa in quei mesi insieme, con Carlo piccolo e io negli ultimi mesi di gravidanza, è piaciuto tantissimo. Abbiamo cominciato così a farci delle domande sul futuro». Anche il ritorno al lavoro in Svizzera la delude, improvvisamente è oggetto di sgradevoli pregiudizi quasi che la maternità l’avesse resa meno performante e questo «nonostante mi facessi in quattro». Il pensiero di un cambiamento radicale comincia ad affacciarsi alla mente e con esso si fa sentire una sorta di «attrazione gravitazionale» – così la definisce oggi – verso l’azienda di famiglia. E poi il segno del destino.

Beatrice e marito stanno decidendo se stabilirsi definitamente a Milano quando vengono a sapere che è stata messa in vendita una vecchia villa abbandonata proprio di fronte alla casa dei Castellini: «Era disabitata anche quando ero bambina tant’è che dicevo sempre ai miei genitori che quando fossi stata grande l’avrei acquistata io. E così è stato». Fiorenzo Castellini non forza la mano alla figlia per farla entrare nella compagine aziendale: «Non l’ha mai fatto, nemmeno nella scelta dell’indirizzo degli studi. Quando però sono arrivata qua mi ha messo a parte della sua idea di redigere il bilancio di sostenibilità. La Castellini stava crescendo e aveva bisogno di cambiare un po’ anche la propria immagine, ma soprattutto c’era il desiderio di cominciare a raccontarsi, visto che fino a quel momento la comunicazione era stata un po’ negletta. In più facevamo tante cose che potevano far parte di un perimetro virtuoso da sottolineare: occorreva analizzarle, dar loro un nome e un peso specifico». Fiorenzo le sta proponendo, in modo rispettoso e delicato, un ambito, quello della sostenibilità, in cui lui sentiva di non avere esperienza ma che avrebbe potuto invece valorizzare le competenze della figlia. Di questa sensibilità Beatrice dice che gli sarà sempre grata. E l’architettura? «Continuo a seguire dei lavori nel campo privato. Ho il privilegio di poter scegliere a quali progetti dedicarmi e nel contempo di occuparmi in azienda di temi che mi gratificano moltissimo. Certo dividersi tra due ambiti di questo calibro è impegnativo anche perché il ruolo di Sustainability Manager è molto assorbente».

Qualcuno diceva che a pensar male si fa peccato ma quasi sempre ci si azzecca e quindi non può mancare la domanda proprio sul ruolo che Beatrice ha assunto: non le sarebbe piaciuto che le venisse offerto un percorso diverso? La risposta è decisa: «La sostenibilità è un ambito che mi interessa molto, ma certamente imboccare quella strada è stato anche un modo per entrare in azienda senza turbare gli equilibri esistenti. Ricordo una frase di Olivetti sui “pericoli degli avanzamenti troppo rapidi, l’assurdo delle posizioni provenienti dall’alto” e la condivido appieno. In più per me, che sono uno spirito libero, questo è un ruolo che mi lascia più libertà in tutti i sensi, anche quella di dare all’azienda un’impronta che sia proprio mia. Consentendo al business di continuare allo stesso modo senza, ma lo dico in senso buono, intralciarlo».

Ma qual è la visione della sostenibilità in Castellini? Beatrice cita la definizione contenuta nel rapporto Brundtland: «Lo sviluppo sostenibile soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri». In questo senso perseguire la sostenibilità significa prendere coscienza della propria responsabilità: responsabilità ambientale, responsabilità d’impresa e responsabilità nei confronti delle persone. Implica perciò una visione a lungo termine che abbraccia tutti gli ambiti a prescindere dalla ricerca del profitto, che certamente ci deve essere, ma non a scapito di tutto il resto. E le imprese famigliari, sostiene Beatrice, partono avvantaggiate in questo processo di presa in carico di responsabilità semplicemente perché… è già nel loro vissuto: «Tante cose che si leggono nei bilanci di sostenibilità noi le facciamo da sempre. Il fatto di operare e vivere nello stesso Comune da 75 anni significa che siamo stati e siamo ancora adesso un punto di riferimento. Per la gente, per le istituzioni è normale chiederti supporto in caso di necessità e tu, che hai vissuto e vivi con la tua famiglia, i tuoi figli, in quel contesto sociale non ti tiri certo indietro, noi siamo anche il nostro territorio. In più un’impresa famigliare sa progettare a lungo periodo perché deve poter continuare a crescere, a evolversi e a prosperare con l’obiettivo di garantire alle generazioni successive, se lo vorranno, di proseguire a modo loro questa storia».

Un momento di aggregazione dei dipendenti dell’azienda.

Beatrice non ha ritrosie nel raccontare quello che Castellini fa per il territorio locale, ma anche in ambiti più distanti geograficamente: «Soffriamo un po’ tutti del retaggio culturale cattolico che impone di fare del bene, ma senza sbandierarlo. In realtà nel tuo bilancio di sostenibilità questi progetti devono per forza entrare e l’essere diventati società benefit ti impone una relazione finale con un responsabile di impatto che deve rendicontare tutto ciò che fai. Diciamo che a noi piace comunicare una cosa solo dopo che l’abbiamo fatta, siamo ben lontani da promesse o annunci che poi magari vengono disattesi. Per esempio abbiamo istituito la Fondazione Teze con cui seguiamo progetti di varia natura, dall’ambito medico-sanitario a quello umanitario, ma i progetti che ci stanno più a cuore sono quelli di formazione: per citarne uno, in Perù con Mato Grosso abbiamo finanziato una scuola femminile nella quale alla parte di formazione scolastica è abbinata una parte pratica per insegnare alle ragazze a lavorare a telaio i tessuti. Sosteniamo il progetto Bangherang che è una sorta di doposcuola in un quartiere di Brescia con una forte percentuale di extracomunitari e di immigrati di seconda generazione ai quali vengono proposte esperienze educative di vario genere. Sosteniamo da tanti anni i progetti di Intermed Onlus, che opera in zone svantaggiate e spesso teatro di conflitti, così come continuiamo a sostenere le realtà del territorio venendo incontro alle esigenze che si manifestano, l’ultima, per citarne una, è stato l’acquisto di un defibrillatore per l’oratorio del paese. Talvolta si tratta proprio di piccole cifre, ma che in alcuni contesti possono fare la differenza».

Il territorio è anche il bacino da cui proviene la gran parte dei collaboratori dell’azienda: 130, divisi tra le sue diverse realtà produttive. «Ci conosciamo tutti per nome – sorride Beatrice – i nostri figli frequentano le stesse scuole, spesso le medesime attività extrascolastiche e quindi tra noi c’è una relazione che va ben oltre il rapporto datore di lavoro-dipendente, è più paritaria. Ma a monte c’è comunque la convinzione che il capitale umano sia il motore della nostra azienda come di ogni altra. Sono le persone che lavorano in un’impresa ad alimentarla, a tenerla ogni giorno viva e attiva. Nostro compito è da una parte “farle sentire a casa” dall’altra di valorizzarle e questi due obiettivi si raggiungono fornendo loro una formazione continua per una crescita professionale appagante così come un ambiente lavorativo inclusivo, collaborativo e piacevole.

Giuseppe a Agnese Castellini erano appassionati melomani. Nel luglio 2022 in loro memoria è stata rappresentata nel giardino dell’azienda La Traviata, in forma integrale con Orchestra dei Colli Morenici, solisti, coro dell’Opera di Bergamo e corpo di ballo, a cui sono stati invitati tutti i dipendenti e la cittadinanza di Cazzago San Martino.

Il benessere generato da un luogo di lavoro passa anche dalla sua bellezza, Beatrice ne è convinta. E bella la sede di Castellini lo è senza alcun dubbio, con le sue ampie superfici vetrate che offrono un’illuminazione naturale per buona parte della giornata, l’utilizzo “colto” e contemporaneo dei materiali, come la struttura in acciaio a vista, negli interni, l’uso di colori accesi, le opere d’arte sparse tra le sale e lungo i corridoi, il curatissimo giardino: «In famiglia abbiamo una grande passione per l’arte, mio padre in particolare per l’arte moderna e contemporanea. Abbiamo avuto sempre la fortuna di abitare “spazi belli” e visto che qui viviamo per gran parte del nostro tempo, ci è parso normale farne un ambiente a somiglianza delle nostre case. E poi penso che l’arte e il design ci aiutino a trasmettere questa attenzione che mettiamo nel nostro lavoro, questo desiderio di qualità e di cura che si legge in modo tangibile in tutto quello che facciamo». Ride mentre racconta che consulenti, fornitori o clienti spesso rimangono stupiti quando vengono in visita perché non sono abituati a pensare che un luogo di lavoro, in un settore pesante e «sporco» come quello della meccanica, possa anche essere bello: «Perché si è abituati ad associare un’azienda a quello che produce e non ai valori che la animano».

Due sculture dell’artista Simone Benedetto, Wolf Soul e Cat Soul, all’interno dell’azienda.

Beatrice è convinta che anche la loro attenzione verso l’ambiente di lavoro sia un elemento di attrazione dei talenti. Il suo punto di vista è molto pragmatico: «Le nuove generazioni hanno una visione del lavoro molto diversa rispetto a dieci-quindici anni fa. Fanno il loro ingresso nel mercato in numero nettamente inferiore rispetto a quello di chi invece va in pensione e sanno perciò perfettamente che saranno corteggiati, che le imprese metteranno in campo tutti gli strumenti che posseggono per attirarli: hanno il potere di scegliere e lo fanno, con oculatezza perché provengono da una generazione che è sensibile a temi quali la qualità appunto del luogo di lavoro, la parità di genere, l’inclusività, il rispetto dell’ambiente che un’azienda esprime. Senza dimenticare la loro esigenza di un work-life balance soddisfacente il che porta a richieste di flessibilità oraria e smartworking. E poi il voler continuare ad aggiornarsi, a studiare, che si traduce in una domanda di formazione continua. A mio parere sono questi gli strumenti di retention più forti che le aziende hanno al momento». E conclude: «Anche da questo punto di vista le imprese famigliari, quelle che hanno al loro interno più generazioni, sono facilitate perché, per esempio, questi temi che per mio padre sono più difficile da comprendere, io li conosco bene».

Parlando di parità di genere, Castellini ne ha avviato la richiesta di certificazione ed è particolarmente sensibile a tutte le tematiche che vi afferiscono prima fra tutte il gender pay gap che qui è stato azzerato. Tuttavia la quota di donne in azienda è bassa, solo 25 su 130 dipendenti e quasi per intero concentrata negli uffici: «La ragione è il basso numero di ragazze che studiano materie STEM. Proprio per questo motivo stiamo iniziando a collaborare con l’Università di Brescia su un progetto che si chiama STEM in genere e che vedrà Teze Mechatronics dedicare alcuni spazi e strumenti proprio alle ragazze, affinché la loro presenza in ambiti fino ad ora strettamente maschili, possa aumentare». Beatrice non è totalmente d’accordo sulle premesse di questa iniziativa, ma ne riconosce l’importanza: «È un po’ come per le quote rosa… non mi piace offrire qualcosa a qualcuno solo perché donna. Però so che i cambiamenti non arrivano da soli, soprattutto in una cultura come quella del nostro Paese e per scardinare certi meccanismi occorre che si inizi da qualche parte». E Castellini è pronta perché, dice Beatrice, bisogna dimostrare con i fatti, oltre che con le parole, il proprio impegno.

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