Heritage

La forza della longevità

Le imprese italiane hanno una “casa della memoria”, un organismo preziosissimo perché la sua attività congela in tanti “fermimmagine” la sapienza del fare e la capacità imprenditoriale del nostro Paese: è il Registro delle Imprese Storiche. Istituito nel 2011 da Unioncamere, l’Unione italiana delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, il Registro ha il compito di certificare e valorizzare le imprese che hanno alle spalle almeno un secolo di vita, senza interruzioni della produzione, nello stesso settore merceologico. Scorrendo l’elenco dei suoi iscritti, si snoda un catalogo meraviglioso dove si incontrano orafi e pasticcieri, cappellai e banchieri, birrai, vignaioli, fabbri e tanti altri, tutti accumunati dalla resilienza, dalla caparbia ostinazione a sopravvivere a crisi economiche, guerre e, buon ultime, rivoluzioni tecnologiche ed emergenze sanitarie senza mai perdere la propria identità.

Quante sono le aziende storiche in Italia? A ottobre 2022 ben 2.450, un numero importante che per di più è per difetto perché far parte del Registro non è automatico, occorre presentare domanda di iscrizione tramite il bando pubblicato ogni anno da Unioncamere. Ciascuna di queste imprese può vantare un passato affascinante, dove gli eventi della Storia con la S maiuscola si sono intrecciati alla vita quotidiana dell’azienda attraverso i decenni e spesso i secoli. Se vi punge la curiosità di sapere quali sono le imprese italiane più longeve, eccovi accontentati. Tra le più antiche (forse la più antica) in assoluto è la Pontificia Fonderia Marinelli che ad Agnone, in provincia di Isernia, fabbrica campane probabilmente già a partire dall’anno 1000, anche se la prima documentata è del 1339 quando Nicodemo Marinelli “Campanarus” fonde una campana di circa 2 quintali di peso per una chiesa del frusinate. Da questa bottega artigiana (la definizione è perfetta se si pensa che i Marinelli usano le stesse tecniche e gli stessi materiali che caratterizzavano la loro produzione nel Medioevo) sono uscite campane per cattedrali e santuari di tutto il mondo: Lourdes, Mediugorje, San Paolo fuori le Mura, la chiesa del Giubileo, il santuario di San Giovanni Rotondo sono solo alcune delle destinazioni di quelli che vengono considerati nel loro campo autentici capolavori. 

Contende alla Marinelli il primato di antichità la Barone Ricasoli, la celeberrima “firma” del Chianti Classico che nel castello di Brolio vinifica dal 1141. La storia della famiglia è intersecata strettamente alle vicende italiane dal XII al XIX secolo: l’eterna contesa tra Firenze e Siena 

la vide protagonista e a volte vittima, come quando nel 1400 il senese Messer Antonio di Checco Rosso Petrucci si impadronì del castello e rinchiuse Galeotto Ricasoli con moglie e figli nei sotterranei per 40 giorni ritirandosi solo dopo l’arrivo dei “rinforzi” da parte della Repubblica fiorentina o quando, nel 1478, gli eserciti congiunti del Re di Napoli, di Papa Sisto IV e dei Senesi rasero praticamente al suolo il maniero. Senza dimenticare che nel periodo risorgimentale un Ricasoli, e più precisamente Bettino Ricasoli, fu uno degli artefici dell’Unità d’Italia, diventando nel 1861, dopo Cavour, Presidente del Consiglio dei Ministri del Regno d’Italia, e richiamato a questa carica una seconda volta nel 1866: questo è quello che dicono i libri di storia, i trattati di vitivinicoltura lo ricordano invece come un innovatore e uno studioso attento della coltivazione della vite e della fermentazione, a lui si deve la definizione dell’uvaggio del Chianti classico che rientrerà poi nel disciplinare ancor oggi in vigore. 

Spostandoci in area veneta l’anno di nascita della Barovier & Toso è il 1295: in realtà in quel periodo, di cui le testimonianze sono pochissime, l’attività coinvolgeva solo i Barovier perché la fusione con le vetrerie Fratelli Toso sarebbe avvenuta parecchi secoli dopo, nel 1942. Che cosa faceva la famiglia agli inizi? Probabilmente bottiglie di vetro comune, ma, come detto, si sa poco. È solo con Angelo, e cioè con il XIV secolo, che cominciano a comparire fonti attendibili sull’attività vetraria Barovier: per esempio, nel 1455 la Repubblica di Venezia gli concede l’esclusiva di produzione di un vetro estremamente trasparente chiamato “cristallo veneziano” o “vetro cristallino”. La sua fama doveva aver varcato i confini della Repubblica se è vero che Filarete avrebbe pensato a lui per la decorazione di Sforzinda, la città ideale tratteggiata nel suo Trattato di architettura. Altri Barovier di gran fama saranno, nell’Ottocento, Giuseppe, considerato il più grande vetraio di Murano, l’artista per eccellenza della lavorazione del vetro a murrine tipica dell’Art Nouveau, e nella prima metà del Novecento Ercole, le cui creazioni – i cristalli con grosse bolle interne, i Rostrati con le loro punte che rifrangono la luce e i Rugiadosi, avrebbero incontrato un grande successo commerciale.

Al XIV secolo vanno ascritti Torrini, casato orafo di Firenze il cui marchio di fabbrica viene registrato nel 1369 da Jacopus, corazzaio in quel di Scarperia nel Mugello, e Marchesi Antinori, famiglia di “vinattieri”, così ancora si definiscono, dal nome della corporazione fiorentina di arti e mestieri che nel 1385 vide l’entrata nelle sue fila di Giovanni di Piero Antinori. Entrambe le casate raggiunsero presto fama e prosperità. La prima nel corso del tempo espresse nella sua bottega in Siena, città dove Jacopus e prima ancora il fratello Tura si erano trasferiti, non solo figure di eccellenti orafi, ma anche di veri e propri artisti: scultori e intagliatori come Turino, a cui si deve la statua di San Giovanni Battista sulla sommità del Battistero di Pisa, e il figlio Giovanni, autore nella prima metà del Quattrocento di magnifiche statue lignee oltre che di manufatti bronzei di pregio; nell’Ottocento sarà Giocondo a dare un’impronta del tutto personale all’impresa famigliare, affacciandosi al panorama europeo e d’oltreoceano grazie alla sua decisione di partecipare alle Esposizioni internazionali dove i suoi gioielli destavano entusiasmi senza precedenti fruttandogli riconoscimenti di ogni genere oltre che una clientela estremamente qualificata: all’Esposizione di Filadelfia del 1876 il presidente Grant e la moglie gli acquistarono svariati oggetti destinati sia ad alcune istituzioni americane sia alla Casa Bianca.

Gli Antinori già nel Cinquecento sono una delle famiglie più facoltose e influenti di Firenze tanto che nel 1506 Niccolò di Tommaso Antinori può acquistare nel centro della città quello che d’ora in avanti sarà la dimora della casata, Palazzo Boni, per 4.000 fiorini, somma ragguardevole se si pensa che all’epoca la dote di una giovane benestante si attestava intorno alla metà della cifra. Scorre il vino nelle 26 generazioni Antinori, ma non solo. L’albero genealogico della famiglia annovera personalità di studiosi, giuristi, diplomatici, come Niccolò Francesco che nel Seicento viene preso sotto l’ala protettrice di Cosimo III de’ Medici che ne farà Consigliere di Stato e Ambasciatore presso illustri corti europee nel nome del Granducato di Toscana, e Vincenzo, straordinaria figura di erudito che nella prima metà dell’Ottocento è Direttore della Specola di Firenze, oltre che fondatore dell’Archivio Meteorologico Italiano e membro dell’Accademia della Crusca per il cui Vocabolario scrive diverse voci scientifiche. Senza contare le frequentazioni intellettuali a e artistiche: l’amicizia di Piero Antinori con Giacomo Puccini (a cui pare abbia suggerito il libretto della Fanciulla del West), l’amore per l’arte che oggi si esprime con l’Accademia Antinori e l’Antinori Art Project.

Chiudiamo il nostro palmarès della longevità con Camuffo, il cui nome è legato alle imbarcazioni dal 1438. La famiglia, originaria di Candia e da lì spostatasi a Chioggia dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453, divenne ben presto così importante che la contrada dove abitava prese da lei il nome: contrà Johannis Camuffo. Tra il XV e il XIX secolo i Camuffo, che presto si ampliarono a Portogruaro e a Padova, costruirono ogni tipo di barca entrando nella storia: la battaglia di Lepanto (1571) ne vide in azione ben 15 e Napoleone Bonaparte commissionò loro un vascello. Le loro realizzazioni sono così belle e perfette da meritare il nome di Stradivari dei mari, un soprannome che si capisce, dicono gli esperti, quando si sale su uno dei loro yacht (dagli anni Sessanta la produzione si è orientata su questo segmento): interamente in legno con una struttura sofisticata che consente di affrontare anche le peggiori condizioni di mare, interni interamente smontabili costituiti anche da 1000 pezzi. Nonostante tutta questa maestria, la storia dei Camuffo si sta avviando verso una triste decadenza: non ci sono eredi, oggi resta solo Giacomo, che ha superato da un bel pezzo gli 80, di barche non se ne costruiscono più perché la crisi morde, tuttalpiù si vende ciò che resta in cantiere, spesso usato. Ma l’impresa resta in piedi al momento, indomita e orgogliosa delle sue diciannove generazioni spese sull’acqua, dolce o salata che sia.

Queste storie, così come quelle di tutte le altre imprese del Registro, dovrebbero generare, oltre a un senso di orgoglio per le indubbie capacità del nostro Paese di “fare impresa”, anche una visione ottimistica nei confronti del futuro. Il nostro panorama economico è spesso dipinto, anche con buone ragioni, a tinte fosche, ma la longevità di quelle aziende è lì a ricordarci che per ognuna di esse ci sono stati momenti di fulgore e periodi di crisi, luci e ombre che si sono alternate nel tempo, ma che la fiducia in se stesse ha sempre fatto superare tutti gli ostacoli. Ecco perché per un’azienda che abbia un lungo passato è importante raccontarsi: non è un gesto narcisistico o un astuto espediente di marketing, è un aiuto alla collettività per guardare al domani sapendo che questo dipende anche da noi. Non è poco.

Scopri quali e quante sono le imprese storiche in Italia sul Registro Unioncamere.

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