Se valore di marca e marketing sono le due armi a disposizione del brand per posizionarsi commercialmente (alias offerta) nel mercato del B2B, allora – per definizione – tutte le nuove cartucce che sono messe a disposizione dei marketers e della comunicazione d’impresa più in generale acquistano un valore strategico al fine della marca. Questo è quanto più vero, e nel contempo più falso, se pensiamo all’evoluzione nel mondo della comunicazione aziendale che sta esplorando e includendo settori nuovi come quello della Intelligenza Artificiale.
Mi spiego meglio.
E’ chiaro che l’AI (o IA per dirla in italiano) è oggi il fenomeno del momento: ChatGPT per il copywriting, NightCafe per le immagini – per citarne solo 2 sulla bocca di tutti – promettono grandi risultati a poco sforzo umano. Questo perché l’AI è in grado di imparare autonomamente e generare, così, un output che sia bello, intelligente, interessante, SEO oriented, corretto, di marca ecc. ecc. E fin qui tutto bene (almeno in linea teorica, perché poi in linea pratica è un’altra cosa).
Ma a quale costo in termini umani? La macchina impara; è vero. Ma dove pesca?
E qui casca l’asino! Ovvero: se l’AI fa da sola – e impara – dove prende le informazioni di base? Da dove parte? Quali proprietà intellettuali servono per darle il la?
Parola magica: proprietà intellettuale.
E’ questo il vero nodo del dibattito:
l’AI viola il diritto d’autore? Viola la proprietà intellettuale? Come tutelare una proprietà intellettuale creata da AI?
Come facciamo sempre partiamo da una bella definizione.
E chiamiamo in aiuto la Treccani:
“La proprietà intellettuale è l’Insieme di diritti legali volti ad assicurare la tutela delle creazioni della mente umana in campo scientifico, industriale e artistico. Possono essere protetti da p. i. invenzioni, lavori letterari e artistici, simboli, nomi, immagini e disegni. Il concetto stesso di p. i. è a sua volta suddivisibile in almeno due distinte categorie: la proprietà industriale e il copyright”
Quindi, se ci atteniamo strettamente a questa definizione, di fatto tutto quello che costituisce il nutrimento stesso dell’AI – che per definizione e struttura metodologica della machine learning deve comunque aver un substrato conoscitivo/informativo da cui pescare – in realtà è una proprietà intellettuale. E come tale è di proprietà di chi l’ha creata. Del brand che l’ha fatta sua, che l’ha veicolata, che l’ha resa brand identity.
E quindi, seguendo questo filone logico, ci troviamo sull’ostico terreno della violazione del diritto.
E’ un tema controverso. Molto controverso.
Se ne parla da tantissimo tempo e tutti i più importanti letterati in materia hanno dato il loro contribuito. E stanno esplodendo anche le azioni legali – basate proprio su questo assioma – verso le piattaforme di AI. Ad esempio, recentemente Getty Images – una delle principali banche immagini al mondo – ha fatto causa a Stability AI perché ha usato le sue foto per addestrare il proprio generatore di immagini “violando sfacciatamente la proprietà intellettuale”.
Il Diritto d’Autore, così come concepito oggi, si fonda su due presupposti:
Se ci caliamo nell’esempio, Getty Images è una società in possesso di una capacità giuridica che ha titolarità di diritto sulle immagini originali e creative facenti parte del suo database.
L’AI non ha capacità giuridica. Potrebbe averla il creatore del software. Ma, di fatto, questo soggetto fisico non ha contribuito attivamente all’elaborazione di un nuovo output visivo. Però, l’AI ha imparato e prodotto un contenuto che ha carattere innovativo e creativo.
Quindi? Chi ha ragione?
Senza entrare nel merito giuridico della questione, questa – come le tante altre azioni legali – ci pone davanti ad un quesito che ancora non ha risposta: possiamo interpretare qualcosa di così futurista e avveniristico come l’Intelligenza Artificiale con uno schema e un metro che è stato creato quando questa tecnologia ancora era nella Galassia?
Altrimenti detto: il Diritto d’Autore così come concepito fino ad oggi si può adattare ad un mondo della comunicazione in cui l’AI sta entrando prepotentemente?
Non siamo in Matrix… ma poco ci manca! Chissà come l’avrebbe interpretata Neo?
Certo è, però, che il dibattito in tema di Proprietà Intellettuale dell’AI è molto vivo.
Ed è assolutamente indubbio che la strada verso cui si sta puntando è, oltre quella di una regolamentazione, anche di una sorta di tutela delle opere create dall’AI. Tanto, ad esempio, che se ne discute anche a livello di Commissione Europea; e quindi di tutti gli Stati Membri; inclusa l’Italia. La strada è lunga e siamo solo agli albori del percorso. Ma l’attenzione c’è ed è alta. Anche in risposta al trend che vede un utilizzo in crescita in contesti professionali di comunicazione aziendale. Oggi è chiaro che parlare di AI non può prescindere un
coinvolgimento dei professionisti del settore: visual e content designers stanno sicuramente sperimentando forme ibride di contaminazione tra ingegno umano e ingegno artificiale con
l’obiettivo di creare progetti di comunicazione che siano sempre più multi-sfaccettati per interpretazione e visione (ovviamente coerenti alla brand vision e mission). Anche perché, come ha più volte detto lo storico Direttore Pubblicitario di Nike Scott Bedbury:
“brand vuol dire prendere qualcosa di comune, allo scopo di migliorarlo, in modo che acquisti significato e venga valorizzato”.
E nel concetto di miglioramento e valorizzazione, ruolo importante lo gioca anche l’innovazione; compresa quella tecnologica. Ma solo con la sicurezza e la certezza della titolarità dell’output.
Se dovessi scommettere su una strada plausibile, direi che sarà l’AI a darci la risposta; anzi a imparare a come rispondere al dilemma di cui sopra.
Scherzi a parte.
Il tema va sicuramente tenuto sotto la lente di ingrandimento perché dominerà la scena del prossimo futuro.
Che l’AI possa sostituire in toto la creatività umana la vedo difficile.
Che ne violi i diritti d’autore è da vedere.
Che impari a coesistere con l’intelligenza umana è certo.
Noi di Studio Chiesa siamo sempre molto attenti alle novità; fa parte di noi e del nostro carattere. Così come siamo sempre attenti ad alimentare e nutrire il nostro pensiero.
Vi lasciamo con una domanda:
Secondo voi quanta ChatGPT c’è in questo articolo? Tutto? Niente? In parte?
Treccani > https://www.treccani.it/enciclopedia/proprieta-intellettuale_%28Dizionario-di-Economia-e-Finanza%29/
Commissione Europea > https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2022/12/06/artificial-intelligence-act-council-calls-for-promoting-safe-ai-that-respects-fundamental-rights/
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