Le aziende di maggior successo si fondano tutte sullo stesso principio chiave: i clienti (siano essi buyer o consumatori finali) sono anzitutto delle persone. Risulta, pertanto, di fondamentale importanza scoprire perché ciascun individuo fa ciò che fa: più lo si comprende e più si è in grado di creare un legame emozionalmente coinvolgente tra i marchi e le persone stesse.
Lo dimostra in modo chiaro e con molti esempi pratici Matteo Rinaldi, Adjunct Professor della Luiss Business School e Partner & Regional Director di Garrison Group, nel volume “Human-centric marketing. Prima di consumatori, siamo tutti persone” (FrancoAngeli, 2020).
“Cosa significa essere human-centric?” esordisce Rinaldi “Significa mettere al centro delle proprie scelte di business le persone e non i consumatori. Ogni consumatore è infatti prima di tutto un essere umano, con determinati bisogni, desideri e paure. Pensare human-centric significa capire i propri consumatori in profondità, non fermandosi all’analizzarli esclusivamente in relazione al settore in cui si opera (bevitori di birre, fumatori, ascoltatori di musica, ecc.) ma in una prospettiva più olistica, che ci permette di capirli come esseri umani. Pensare human-centric significa chiedersi costantemente cosa fare per migliorare la vita delle persone, per farle sentire meglio con se stesse e con gli altri.”
Il punto di vista di Ideo
Un’altra interessante definizione di human centricity è fornita da Ideo, una delle maggiori società di consulenza per il design a livello mondiale. Per Ideo la human centricity si configura come la capacità di “costruire una profonda empatia con le persone per le quali si disegnano prodotti e servizi” e che si applica “generando una marea di idee, in grado di tradursi in prototipi da condividere con chi sarà chiamato a usarli quando verranno resi disponibili sul mercato.”
Anziché rispondere semplicemente ai bisogni e ai desideri espliciti delle persone, bisogna partire da un’intuizione innovativa, che sarà poi confermata o smentita dall’osservazione delle persone, in modo da creare esperienze nuove e utili basate sul loro reale comportamento.
Il caso Ferrero
Michele Ferrero, l’uomo che trasformò una pasticceria di Alba (Cuneo) in una multinazionale del settore dolciario da oltre 8 miliardi di fatturato, non parlava di customer centricity o di marketing of innovation né di company agility e brand purpose. In una delle sue rare interviste – uscita postuma dopo la sua scomparsa nel 2015 – condensava tutti questi concetti in un’unica parola: Valeria.
“Il mio segreto è fare sempre diverso dagli altri, avere fede, tenere duro e mettere ogni giorno al centro la Valeria. La Valeria è la padrona di tutto, l’amministratore delegato, colei che può decidere del tuo successo o della tua fine, quella che devi rispettare, che non devi mai tradire ma capire fino in fondo.”
Di fronte a uno stupito Mario Calabresi, allora direttore del quotidiano torinese, spiegava meglio: “La Valeria è la mamma che fa la spesa, la nonna, la zia, è il consumatore che decide cosa si compra ogni giorno. È lei che decide che Wal-Mart sia il più grande supermercato del mondo, che decreta il successo di un’idea e di un prodotto e se un giorno cambia idea e non viene più da te e non ti compra più, allora sei rovinato. Sei finito senza preavviso, perché non ti manda una lettera dell’avvocato per avvisare che taglia il contratto, semplicemente ha deciso di andare da un’altra parte, di non comprarti più. La Valeria è sacra, devi studiarla a fondo, con attenzione e non improvvisare mai. Bisogna avere fiuto ma anche fare tante ricerche motivazionali.”
E alla domanda su quale fosse stata l’intuizione in apparenza più pazza, ma che gli aveva dato più soddisfazione, rispondeva: “Quando pensai che l’uovo di cioccolato non poteva essere una cosa che si vendeva e si mangiava una volta all’anno, a Pasqua. Però ci voleva qualcosa di più piccolo, che si potesse comprare ogni giorno a poco prezzo, ma doveva ripetere quell’esperienza e allora ci voleva anche la sorpresa, ma in miniatura. Pensai alla Valeria mamma, che così poteva premiare il suo bambino perché aveva preso un bel voto a scuola, alla Valeria nonna che lo regalava per sentirsi dire: ‘Sei la più bella nonna del mondo’ o alla Valeria zia che riusciva così a strappare al nipotino quel bacio e quell’abbraccio che faticavano sempre a conquistare. Senza questa focalizzazione è impossibile guadagnarsi la fiducia di clienti che, mentre interagiscono con un’organizzazione, un prodotto o un servizio, effettuano un paragone mentale con le migliori esperienze già fatte.”
Differenziarsi dagli altri brand, innovare costantemente, credere con tenacia nella propria visione sono stati i capisaldi dell’avventura imprenditoriale di Michele Ferrero: il suo vero segreto, però, è sempre stato quello di mettere davvero la persona-consumatore al centro della strategia di marca, in modo da sviluppare la capacità empatica di comprenderne bisogni, desideri, aspettative, comportamenti e di portarli a sintesi all’interno di un’organizzazione che offre sempre il massimo alla propria clientela.
Una lezione certo non nuova ma sempre valida, in una fase storica in cui le imprese sono concentrate sulle nuove tecnologie e rischiano di smarrire nei fatti la vera innovazione che non passerà mai di moda: la human centricity.
E il B2B?
Abbiamo parlato fin qui di un rapporto tra azienda e consumatore finale. Ma questa dinamica è valida anche per il grande mercato del B2B?
Quando si parla di marketing B2B la maggior parte delle imprese si focalizza unicamente su sé stessa, dimenticando che B2B è anche e soprattutto H2H (human-to-human).
Il marketing B2B non può essere asettico o distaccato: è un dialogo personale, in cui si parla con individui che, come tali, hanno una famiglia e ambizioni professionali, abitudini, bisogni, problemi e sogni. Per questo occorre spostare la lente dalla propria azienda e dai propri prodotti e metterla sul cliente. E per cliente non si intende l’azienda in sé stessa ma il singolo individuo che ci sta di fronte (che di quell’azienda è una risorsa fondamentale).
Riuscire a capire chi è il destinatario, identificare i suoi bisogni e le sue preoccupazioni, cosa pensa e in quali contesti gli capita di trovarsi, permette poi di andare a colmare le sue necessità in modo diretto ed efficace, evitando sprechi di tempo e di budget.
Come possiamo trasformare questi concetti in realtà?
Ecco alcuni suggerimenti per migliorare il modo in cui il marketing B2B lavora per creare connessioni piuttosto che vendere semplicemente un prodotto.
Tenete sempre a mente questi spunti quando dialogate con un’azienda cliente o prospect e, soprattutto, non dimenticate mai che avete di fronte delle persone, proprio come voi!
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