Si parla di manifattura additiva o additive manufacturing per identificare la seconda tecnologia abilitante prevista dal piano Impresa 4.0.
Dal punto di vista industriale, si tratta di una delle più importanti evoluzioni dell’industria moderna, una vera e propria “rivoluzione copernicana” che prevede la digitalizzazione della manifattura, attuata attraverso la comunicazione tra computer e macchine, grazie alla condivisione delle informazioni (tra macchine e persone) attraverso internet (Internet of Things).
La manifattura additiva utilizza tecnologie molto diverse tra loro per realizzare oggetti, ma sempre aggiungendo strati successivi di materiale (additive manufacturing) anziché sottrarli (subtractive manufacturing).
I vantaggi sono innumerevoli, e non solo per la prototipazione: secondo il Wohlers Report 2022, con la maturazione del settore della manifattura additiva, un numero crescente di aziende sta utilizzando la tecnologia anche per applicazioni di produzione in serie (e non più solo per la prototipazione).
Wohlers afferma che questa crescita è testimoniata dai dati sull’aumento del consumo di polveri polimeriche che nel 2021 è cresciuto del 43,3%, superando le resine fotopolimeriche.
Anche dal punto di vista della comunicazione e del branding, l’additive manufacturing rappresenta una grande opportunità da cogliere.
Sappiamo quanto sia sempre più attuale il trend della personalizzazione per cui, molti brand vogliono “corteggiare” i loro consumatori personalizzando l’esperienza, dando continuità a un tipo di rapporto tradizionalmente improntato alla cura, all’attenzione, all’ascolto.
Le nuove tecnologie e l’impiego delle enormi quantità di dati a disposizione possono contribuire a replicare questo stesso modello all’interno dell’ecosistema digitale costruito dal brand.
Oggi, grazie alla manifattura additiva, ogni brand e ogni sua applicazione sono sviluppabili e altamente personalizzabili, dando vita a opportunità di customizzazione potenzialmente infinite. Con l’additive manufacturing la tecnologia si sposa con creatività in un’ottica win-win.
Legare creatività e digitalizzazione pone anche alcuni interrogativi su riservatezza e sicurezza, ad esempio, per quanto riguarda i file che vengono scambiati in rete tra chi realizza la progettazione – che normalmente detiene la proprietà dei manufatti – e chi la realizza attraverso le tecnologie additive.
Come possono fare le aziende a sfruttare le opportunità della stampa 3D come gli inventari virtuali e la produzione distribuita e a proteggere la loro proprietà intellettuale, mantenendo costanza e qualità e difendendo l’integrità del brand?
Per rispondere a questa necessità sono nate alcune startup che permettono alle aziende di gestire in modo sicuro la produzione additiva, ovunque e in qualsiasi momento. Ciò significa consentire di praticare la produzione additiva proteggendo gli indirizzi IP, le risorse digitali e rafforzando il controllo sulla qualità, sulla quantità delle loro parti e prodotti.
Un file LEO – nato da Leo Lane, omonima startup israeliana -, acronimo di Limited Edition Object, è un asset digitale che protegge e preserva un prodotto digitale o un design del pezzo, controllando il modo in cui viene prodotto per conto dell’impresa o brand che lo possiede.
Grazie a questo asset, è ora possibile tracciare i dati in tempo reale di quando, dove e come è stato prodotto ciascun prodotto. L’azienda cliente mantiene tutti i suoi file in base alle proprie politiche e procedure IT interne e può specificare quanti elementi possono essere stampati in 3D in totale sicurezza.
Dunque, la tecnologia supportando e proteggendo le realizzazioni digitali, tutela direttamente anche il brand.
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