Spiazzante. Eccentrico. Profondo. Devastante. In un nome solo: Fëdor Michajlovič Dostoevskij. Lo scorso 11 Novembre 2021 si è celebrato il 200esimo anniversario dalla sua nascita: il genio oltre l’uomo; il ribelle oltre lo scrittore.
Come è possibile che dopo due secoli Fëdor Michajlovič Dostoevskij sia ancora sulla cresta dell’onda? Perché è ancora un trend topic di oggi? Semplicemente perché ha fatto meglio degli altri una cosa molto semplice (per modo di dire): comunicare! O meglio; toccare le corde delle emozioni per comunicare qualcosa.
Ora i letterati più puri inorridiranno… mi scuso in anticipo: mi spingo a definirlo un pioniere della comunicazione #H2H. Pensiamoci un momento: Dostoevskij viveva per scrivere e scriveva libri pesanti, corposi. Libri nati per spronare ad una riflessione: giustizia sociale, pena, riscatto attraverso la sofferenza, lotta tra bene e male, morale cristiana, progresso rivoluzionario e fede sono i temi a lui più cari. E come li ha veicolati, comunicati, raccontati, condivisi con il pubblico della sua – e della nostra – epoca? Attraverso personaggi così ricchi, così profondi e sfaccettati, così tormentati e nel contempo lucidi da spingere chiunque approcciasse la sua letteratura ad una riflessione sul tema.
A scuola da Dostoevskij!
L’ho amato da subito. L’ho capito da poco. L’ho odiato sempre. Non sono impazzita; ma Dostoevskij è proprio questo: tutto e niente. Amore e odio insieme. Il più grande cantore delle virtù e dei vizi umani che l’Ottocento (e la storia contemporanea) abbia avuto, il Maestro dell’animo– con una capacità di comprensione e descrizione della psicologia umana da far invidia a Freud – e nel contempo un uomo di vizi, di cattiveria e moralità discutibile (a detta di alcuni suoi contemporanei). Un ribelle, un rivoluzionario (di questo fu accusato e quasi ucciso) e nel contempo l’unico scrittore non progressista della sua generazione.
Io avevo 15 anni quando ho conosciuto Rodion Romanovič Raskol’nikov. All’epoca, ricordo, quella di Delitto e Castigo mi era sembrata una storia strana. Sicuramente molto triste. Ma bella. Ricca. Mi aveva affascinato questo studente squattrinato e per un certo momento ho anche tifato per lui.
Ho riletto recentemente Fratelli Karamazov; il suo ultimo romanzo. Il canto del cigno di Dostoevskij: Ivan, Aleksej e Dimitri (rispettivamente l’ateo, il religioso e il parricida), che incarnano coerenza e contraddizioni dei grandi princìpi che guidano la vita dell’uomo, il bene e il male, la pace e la violenza, il vizio e la virtù. Personaggi che riflettevano il più luminoso e anche il più oscuro lato dell’anima.
Rileggendoli oggi, con occhi più maturi e coscienti, ho capito: al di là dell’indiscutibile valore letterario, a distanza di 200 anni, Dostoevskij è attuale e ha ancora molto da insegnare proprio perché l’incredibile apertura mentale e multi-sensoriale del mondo e dell’animo che ha avuto, gli ha permesso di toccare anche le corde più profonde e far passare, così, il suo messaggio.
Io e Dostoevskij siamo nati (quasi) lo stesso giorno. Scorpioni entrambi della prima decade. Un bel caratterino; il suo. Sarà per questo che la letteratura russa mi affascina?