Digital Marketing

Content creation, curation, proprietà intellettuale: come metterli insieme?

Si sa, in rete ormai è stato scritto di tutto, su tutto. Altrimenti detto: non esiste un contenuto, un testo, un argomento, un “qualcosa” che non sia già stato trattato, commentato, oggetto di un articolo o di una storia. Punto.

Ed è questo un assioma che il content creator deve sempre avere ben stampato in mente. Perché se è vero che tutto è stato scritto, è altrettanto vero che esistono – nella comunicazione – i principi dell’originalità, della creatività e, in ultima istanza, della proprietà intellettuale.

La domanda, dunque, sorge (marzullianamente) spontanea: qual è il rapporto che esiste tra la content creation, l’originalità e l’autorevolezza del contenuto e il fatto che questo sia disponibile in rete?

Vi sarete accorti che è un terreno scivoloso già per chi sta scrivendo… le sfumature semantiche delle parole, in un contesto così delicato come questo, possono spostare l’ago della bilancia in un modo o nell’altro.
Ad esempio: i contenuti sono disponibili in rete o sono liberi in rete?

Ci viene in soccorso la Treccani:
• disponibile: ovvero accessibile, utilizzabile;
• libero: ovvero esente da costrizione o limitazione.

Perché ho fatto questo esempio?
Semplice; io stessa – scrivendo – ho già, di fatto, impattato contro la prima regola della content creation: anche se è scritto ed è in rete, il contenuto non è né disponibile, né libero salvo indicazioni esplicite dell’autore o del proprietario del diritto.

 

DIRITTO D’AUTORE PER I CONTENUTI CREATI DAL CONTENT CREATOR

In altre parole, sappiate che tutto quanto viene scritto è sottoposto alla disciplina del diritto d’autore. Che è, per chi la maneggia, un universo infinito e pieno di anse. Ma che, in sostanza, si basa su un principio cardine: chi ha scritto un contenuto ne detiene la proprietà intellettuale e terzi che lo vogliano utilizzare devono avere l’autorizzazione all’utilizzo o citare la fonte in modo chiaro e univoco. Ovvio che se ognuno di noi pensa alle proprie attività online, questo sembra lontano anni luce. Ma la musica cambia, parecchio, se si parla di brand e di B2B. Questo perché? Semplice: se il contenuto diventa esattamente sovrapponibile al brand – e dunque una sorta di emanazione dello stesso e dei valori ad esso correlati – allora il contenuto detiene gli stessi caratteri distintivi del brand e dunque tutta la awareness e il positioning che il brand stesso si è costruito. È come dire che brand e suo contenuto sono la stessa cosa e quindi da tutelare entrambi da usi non corretti.

Facciamo un esempio concreto. La nostra partnership con il gruppo Marcegaglia ha una lunga storia di oltre 30 anni. Il payoff del gruppo a livello internazionale è stato, per tantissimi anni, we give shape to steel. Diamo forma all’acciaio. Un payoff originale (nel senso di univoco del brand) che – nella sua ricorrenza – è diventato distintivo del marchio Marcegaglia nel mercato di riferimento. Un uso non corretto, da parte di terzi, di questo payoff o una spiccata similitudine da parte di altri brand avrebbe sicuramente comportato una perdita di visibilità per il marchio Marcegaglia e, contestualmente, un vantaggio economico e di valore per l’utilizzatore che si sarebbe tacciato di quella che viene definita condotta parassitaria: ovvero un uso fraudolento della popolarità/visibilità di un marchio per ottenere dei guadagni; in questo caso di brand positioning.

Ecco quindi che è chiaro non solo il valore che il contenuto ha per il brand, ma anche l’importanza che lo stesso venga tutelato proprio nella sua originalità e nella sua adesione al marchio stesso.

 

ATTENZIONE: CREATION È DIVERSO DA CURATION

Ma c’è un ma grosso come una casa.
Ovvero il sottile confine tra content creation e content curation.
Perché? Come sempre partiamo dalla definizione:

• Content Creation: come dice la parola stessa; creazione di contenuti originali. Quindi testi, didascalie, storie, foto ecc ecc create da un’azienda/brand che le pubblica online per primo sui suoi canali per creare interazione ed engagement con il proprio pubblico o prospect di interesse.

Parole chiave: originale, per primo, propri canali.
Tallone d’Achille: con l’esponenziale crescita dei contenuti in rete l’originalità diventa difficile (e quindi diritto d’autore di cui sopra);

• Content Curation: ovvero la raccolta di contenuti relativi ad un determinato argomento che non richiede la creazione di contenuti originali, ma la selezione di contenuti scritti da altri e la ri-condivisione sui propri canali con l’obiettivo – come nella creation – di creare interazione ed engagement con il proprio pubblico o prospect di interesse.

Parole chiave: selezione e ri-condivisione.
Tallone d’Achille: non si ha l’originalità di un contenuto creato ad hoc

 

CONCLUSIONI

Cosa ci dice tutto questo?
Condividere qualcosa di già esistente, se fatto bene, può portare ottimi risultati, restando comunque meno faticoso e impegnativo della creazione di materiale originale. Ma nel contempo, la creazione di materiale originale può dare una marcia in più al brand stesso.

Non esiste una strada definita, così come non esiste una netta distinzione tra questi due universi. Come diciamo sempre, la chiave è nell’equilibrio e nel capire nel profondo i valori che il brand vuole trasmettere per creare e produrre contenuti – che possono essere originali o curati; ma in ultima istanza funzionali alla sola cosa che conta: l’awareness e il positioning del proprio marchio per sostenere e generare business.

In Studio Chiesa ci avvaliamo della collaborazione di content creator e di content curator che sono in grado di sondare i diversi campi del sapere – dalla letteratura, all’arte; dal design, alla storia – per generare contenuti che siano customizzati e tagliati sulle singole necessità; sia che tratti di curatela sia che si tratti di creazione.

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