Il nuovo millennio si è aperto all’insegna delle “criptovalute”, le monete create dal nulla nel web che hanno segnato la più grande rivoluzione finanziaria nella storia recente.
Tutto è iniziato dall’idea di “Satoshi Nakamoto” che, partendo dalla blockchain, sistema basato sulla connessione di migliaia di PC in rete, ha dato nascita al Bitcoin.
In realtà non è chiara l’identità dello stesso Nakamoto, si pensa infatti che possa trattarsi di un nome fittizio per identificare un pool di esperti che abbiano lavorato al progetto.
Oggi esistono circa 9.000 monete virtuali, che sono proliferate soprattutto nel 2020, grazie alla compressione delle economie mondiali, dovuta alla pandemia, diventando vere e proprie riserve di valore con proprietà anti-inflazionistiche.
In questi giorni il Bitcoin ha registrato uno dei più grandi crolli dalla sua nascita, innescata dalle dichiarazioni di Elon Musk che, se qualche mese fa aveva dimostrato di puntare sulla criptovaluta, di recente ha annunciato il congelamento degli investimenti di Tesla in Bitcoin e lo stop al progetto di accettarli come forma di pagamento per le sue autovetture.
In poche ore il Bitcoin è arrivato così a perdere quasi il 20%, scendendo a quota 57.200 dollari raggiungendo a un minimo di 46.980 dollari, per poi recuperare attestandosi intorno a 50 mila dollari, stessa cosa è accaduta per le altre monete virtuali quali l’Ethereum e il Dogecoin.
Musk ha dichiarato di essere preoccupato per l’utilizzo massivo di fonti fossili per la produzione delle nuove valute, infatti per creare le criptovalute sono necessari calcoli complessi da parte di server e computer che richiedono altissime quantità di energia elettrica: sono attività tanto intense da essere definite “mining”, dall’inglese “mine”, che sta per “scavare”, “estrarre”, a indicare che per la creazione di monete virtuali è necessario un intenso lavoro informatico che sfrutta la capacità di calcolo dei computer paragonabile alla forza fisica di un minatore.
Confrontando, ad esempio, l’energia impiegata in un anno per la creazione di Bitcoin con l’energia consumata dagli Stati, attraverso i dati del Cambridge Bitcoin Electricity Consumption Index, Bitcoin sarebbe il 26esimo Paese più energivoro al mondo. In un anno questa attività consuma tanta elettricità quanto la Polonia e l’Egitto, e metà di tutta l’Italia.
Inoltre, più si diffonde, più richiede produzione di ulteriori risorse energetiche, tanto che dall’inizio dell’anno scorso il consumo è addirittura raddoppiato.
Dunque, le criptovalute provocherebbero un danno ambientale significativo e non sarebbero affatto “sostenibili”, mentre le questioni legate ai principi di sostenibilità ESG (Environmental, Social and Corporate Governance) diventano sempre più una motivazione importante per molti investitori.