Heritage

Bisogna comprare l’ombrello quando c’è il sole

Le grandi storie dell’heritage: Workout magazine incontra Massimiliano Cacciavillani, CEO di Lovato Electric S.p.A.

Che poi significa, in parole povere, che «è quando le cose vanno bene che devi costruire un’impresa in grado di resistere nei momenti difficili. Perché quelli prima o poi arrivano sempre, che a monte ci sia una guerra, una pandemia o altro, non si sfugge a questa ineluttabilità e se ti muovi solo in quel momento sarà tardi, non riuscirai a cambiare prodotti o parco macchine o anche mentalità e cultura aziendali in un pugno di mesi». Chi parla è Massimiliano Cacciavillani, CEO di Lovato Electric S.p.A., realtà più che centenaria – è stata fondata nel 1922 – di Gorle, paese a un tiro di schioppo da Bergamo. La frase di cui sopra però non è sua, anche se lui ama ripeterla spesso, il copyright, si potrebbe dire, è del padre Pietro, oggi Presidente dell’azienda. Che di crisi nella sua storia longeva ne ha vissute almeno due, di segno diverso, che avrebbero potuto avere effetti catastrofici se non ci fosse stata una reazione veloce, anzi di più, psicologicamente «attesa»: la prima nel 2008-2009, per intenderci quella seguita al fallimento dell’americana Lehman Brothers sommersa dai mutui subprime, la seconda legata alla pandemia di Covid nel 2020 che ha visto proprio nella Bergamasca una delle aree italiane più tragicamente colpite. Entrambe sono state raccontate nella monografia d’impresa Un secolo di storia imprenditoriale e di passione, nelle cui pagine si alternano le voci di Pietro e Massimiliano Cacciavillani: riguardo alla crisi economica globale che dagli Stati Uniti si propagò come uno tsunami al mondo intero, si legge che «nel giro di un mese il nostro fatturato mensile calò di oltre il 40%. Fu un vero shock per tutti, una cosa mai vista […]. Mantenemmo i nervi saldi, riducemmo alcune spese e decidemmo di continuare a sviluppare nuovi prodotti». Durante il periodo del lockdown la scelta fu invece quella di privilegiare il più possibile lo smartworking e di instaurare rigide regole di sicurezza per chi al contrario aveva deciso «di venire a lavorare comunque, nonostante la paura, l’incertezza. […]. Questo ci ha permesso di limitare il calo di fatturato nel 2020 a un -2%». In entrambi i casi non si fece ricorso nemmeno a un’ora di cassa integrazione, punto di orgoglio per Massimiliano che rimarca: «La molla che mi fa venire qui tutti i giorni non è il profitto, anche se guadagnare è importante e per quanto ci riguarda abbiamo dati di bilancio eccellenti. No, il mio obiettivo numero uno è creare posti di lavoro sul territorio, quello numero due è proprio portare avanti un’azienda che, se si dovesse verificare una nuova crisi, anche di quelle pesanti, non lasci a casa nessuno».
Crisi che al momento non sembra profilarsi: «Il nostro settore, quello elettrico, è destinato ad ampliarsi, è un filone positivo. Ho amici che operano nel campo dei componenti per motori diesel e certamente loro hanno molte più preoccupazioni di me riguardo alle dimensioni del loro mercato tra, diciamo, dieci anni, io invece ho una ragionevole certezza che il mio, di mercato, sarà più grande. In più nel nostro campo la concorrenza, anche se molto elevata e di altissimo livello, è di quelle giuste, leali».

L’headquarter di Lovato Electric S.p.A. a Gorle, in provincia di Bergamo.

Non abbiamo ancora detto di che cosa si occupa Lovato Electric, abbiamo solo seminato indizi. «Produciamo componenti elettrici in bassa tensione per applicazioni industriali. – spiega Massimiliano – Il nostro cliente tipo, che in questo caso è quello “storico”, costruisce macchinari come compressori, forni industriali, saldatrici, imballatrici, macchine per la lavorazione del legno, della plastica o dei metalli. L’altra tipologia di clientela è invece coinvolta in processi produttivi – può essere per esempio un cementificio – e cerca un efficientamento energetico, banalmente per limitare gli effetti dei rincari dell’energia. Quest’ultimo settore è in fase di crescita perché se una volta l’ammontare della bolletta preoccupava solo chi l’aveva da un milione di euro, oggi il problema investe anche chi ci spende 80.000 euro. A maggior ragione se ha intrapreso un percorso di sostenibilità». È un’azienda che vanta un fatturato consolidato a doppia cifra – 152 milioni di euro –, dà lavoro a circa 700 persone di cui 356 solo in Italia, possiede 14 filiali estere due delle quali, in Cechia e in Croazia, produttive e le altre commerciali, e 90 importatori che garantiscono la reperibilità dei suoi prodotti in oltre 100 Paesi nel mondo.

La Lovato Electric S.p.A. di Gorle in una visione dall’alto.

Una tensione all’internazionalizzazione iniziata molto presto, ben prima che la saturazione del mercato spingesse le imprese italiane oltralpe e oltreoceano: «I primi Paesi verso i quali abbiamo cominciato a esportare sono stati, all’inizio degli anni Sessanta, Polonia, Ungheria e Brasile, l’apertura della prima filiale, in Venezuela, data 1979 anche se dopo un paio di decenni abbiamo deciso di chiuderla perché la situazione sociale in quel Paese era diventata esplosiva e pericolosissima». Gli aneddoti a quest’ultimo riguardo si sprecano, uno potrebbe entrare a buon diritto in una fiction: Lovato Electric aveva creato la filiale – in joint venture – nella città di Valencia, che è uno dei principali centri industriali del Paese. Bene, in occasione di una trasferta di Massimiliano alla loro sede venezuelana, non solo il socio si era rifiutato di andare a prenderlo in aeroporto perché muoversi la sera era troppo rischioso, ma l’autista inviato in sua vece, per tutto il viaggio fino all’hotel aveva tenuto un grosso revolver in bella vista sul cruscotto. Così «quando mi chiesero di tornarci un’ennesima volta, mi sono rifiutato decisamente». La narrazione della storia dell’azienda è ricca di questi episodi – non tutti così rocamboleschi a dire la verità – e uno in particolare fa ben comprendere le motivazioni della decisione di guardare al di là dei confini nazionali: «Tra i nostri contatti c’era un imprenditore che realizzava macchine per il packaging e che esportava parecchio negli Stati Uniti. I nostri prodotti lo interessavano: non eccepiva né sulla qualità, né sul prezzo, ma purtroppo c’era un «ma», noi all’epoca non avremmo potuto garantire la reperibilità dei ricambi e l’assistenza sul suolo americano. Bisogna ricordarsi che a quei tempi la logistica non era sviluppata come oggi né la comunicazione così rapida, nel migliore dei casi un pezzo avrebbe impiegato qualche giorno a giungere a destinazione. È stato un po’ quello il pensiero che ha spinto mio padre a prendere la valigia in mano già sessant’anni fa, in caso contrario certi contratti non li avremmo spuntati. Potrei dire che la nostra fortuna è aver avuto clienti esportatori che ci hanno stimolato in tal senso». Per inciso oggi la filiale americana è la più importante nel «regno» Lovato Electric: si trova in Virginia a Cheasepeake e supporta il mercato statunitense attraverso una rete di distributori partner.

Camera anecoica per i test sui componenti elettrici.

In questi casi viene sempre spontaneo chiedersi e chiedere «la ricetta» per riuscire a «tenere insieme» tante culture, anche di business, così diverse tra loro, che spaziano dagli USA alla Cina passando dalla Turchia e dalla Russia, ma Massimiliano afferma di non avere mai avuto problemi: «Sarà che siamo italiani – sorride – e siamo perciò capaci di andare d’accordo un po’ con tutti. Certo occorre un po’ di flessibilità e di attitudine ad adattarsi alle consuetudini di un altro Paese. Per fare un esempio: io normalmente non prendo in considerazione candidati che cambiano spesso azienda, non sono proprio abituato, qui a Gorle per esempio abbiamo avuto una persona che è andata in pensione dopo 43 anni trascorsi interamente in Lovato Electric. Cambierà prima o poi anche in Italia, ma al momento di gente che lavora da noi da più di vent’anni ce ne è ancora tanta. Però negli Stati Uniti questa non è la consuetudine, là la fedeltà aziendale non è importante come da noi e bisogna accettarlo. D’altro canto il nostro è un settore B2B nel quale chi compra ha un approccio simile in tutto il mondo, vuole vedere certificati, conoscere dati, controllare caratteristiche, vuole poter testare, bisogna convincere l’Ufficio Acquisti, l’Ufficio Tecnico, l’Ufficio Qualità e alla fine anche il titolare, e non cambia molto da Paese a Paese. Ecco, se vogliamo trovare una differenza, diciamo che in mercati più strutturati, come quello tedesco, magari impieghi anche un paio di anni a entrare mentre in altri più giovani, come la Turchia, in capo a pochi mesi hai già cominciato le forniture, ma questo è tutto. E noi, ripeto, siamo molto bravi ad adattarci».

E pensare che all’origine, in un’epoca storica in cui il mondo femminile era per lo più relegato tra le quattro mura domestiche, c’è una donna: ci guarda da una foto degli inizi del secolo scorso, vestita di nero come era consuetudine nella vedovanza, lo sguardo franco e non impostato come invece spesso si vede nei ritratti fotografici d’antan, un lieve sorriso che le increspa appena il volto. Si chiamava Maria Faccio, da Arzignano (in provincia di Vicenza) dove era nata nel 1877: «una tipa tosta», come la definisce Massimiliano, «una donna imponente, dall’aria austera, dotata di un forte personalità» come scriverà Pietro Cacciavillani. Maria nel 1922 aveva fondato con un cugino, che di cognome faceva Lovato e un altro socio, una piccola ditta di componenti elettrici nel centro di Bergamo. Un’emigrata, dunque, che inseguiva un progetto: occuparsi di sericultura. E la Bergamasca di quei tempi era particolarmente adatta all’allevamento dei bachi da seta grazie alla sua ricchezza di acque e gelsi. Poi evidentemente qualcosa le aveva fatto cambiare idea orientandola verso l’elettricità. Non aveva una preparazione tecnica, ma era «l’anima dell’impresa» che, grazie all’esperienza meccanica del cugino e alla scrupolosità contabile del socio aveva prosperato al punto da diventare fornitrice delle maggiori aziende locali di allora, tra cui le Cartiere Pigna, le Fornaci Magnetti, il birrificio Von Wunster, la Cesalpinia che produceva addensanti. Poi il cugino venne a mancare e Maria, che non era più una ragazzina, dovette porsi il problema della successione. Era vedova, come già detto, e senza figli, ma con un nipote, figlio della sorella Luigia, che le sembrava sveglio e capace: Massimiliano Cacciavillani, il nonno dell’attuale CEO che ne porta il nome.

Maria Faccio e il nipote Massimiliano Cacciavillani, nonno dell’attuale CEO dell’azienda che ne porta il nome.

Quando Maria Faccio muore, nel 1946, Massimiliano le subentra: ha già 38 anni, ma per almeno un ventennio ha affiancato la zia nella gestione dell’azienda, non sta entrando in una terra incognita. Il Massimiliano di oggi ha solo un vago ricordo del nonno perché alla sua scomparsa era piccolissimo, ma si può dire che lo conosca bene attraverso le parole del padre: «dai suoi racconti si capisce che avevano un rapporto stretto e molto intenso. Me l’ha sempre descritto come una persona autorevole e appassionata senza però che questa passione l’abbia mai portato a trascendere, anche solo verbalmente. Era un uomo brillante, di compagnia, gran lavoratore, un meccanico nato, con un istinto infallibile nel giudicare le persone, un imprenditore che ha vissuto la «sua» azienda in modo quasi viscerale, viveva proprio qua, dietro l’officina c’era l’abitazione che abbiamo ristrutturato in tempi recenti». Grande amante delle moto – soprattutto delle Guzzi al punto che durante la guerra, nel timore che la sua venisse requisita, l’aveva smontata completamente nascondendone poi i pezzi in giro per la casa – e di automobili, del cui parcheggio nel garage della ditta si occupava Pietro. E aveva ben assimilato le qualità imprenditoriali della zia, sapeva che l’imperativo categorico era stare al passo dei tempi e difatti già nel 1948 aveva deciso di concentrare la produzione sui più innovativi contattori su barra, basati su una tecnologia introdotta dagli americani.

Sala prove della Lovato Electric negli anni Cinquanta.

Negli anni successivi Lovato Electric si ingrandisce, aumenta le maestranze, spinge il suo mercato ben oltre i confini non solo della Bergamasca ma anche della Lombardia e poi dell’Italia e nel 1963 si trasferisce a Gorle, in uno stabilimento quasi sette volte più grande del precedente in centro a Bergamo, un passo impegnativo dal punto di vista economico che però consente di organizzare meglio il lavoro, che in quegli anni non solo si è incrementato ma anche diversificato: si creano così due divisioni che si occuperanno della fabbricazione una dei contattori e l’altra dei quadri elettrici. Ed è proprio in quegli anni a metà del 1960 che Pietro Cacciavillani fa il suo ingresso ufficiale in azienda: ha appena concluso un anno «di formazione» in Germania, che gli sarà utilissimo dal punto di vista tecnico e normativo, e comincia a guardarsi attorno per rendersi conto di ciò che manca o è inadeguato nell’impresa di famiglia. Due sono gli ambiti a cui mette subito mano: il commerciale, che non aveva ancora un’organizzazione vera e propria, e la sicurezza, allora molto lacunosa, a dire la verità, in tutte le realtà industriali del Paese. Seguiti a stretto giro dalla decisione di investire nel settore dell’elettronica, passo che comporterà la creazione di una struttura complessa per seguire tutte le attività richieste da questa nuova produzione. Ed è di una decina di anni dopo o poco più l’inaugurazione delle prime linee produttive automatiche – prima i contattori si assemblavano per lo più a mano – che porteranno nel corso degli anni a un aumento considerevole dei volumi lavorati: progettate e costruite in casa, subiranno più di una miglioria nel corso del tempo per poi essere sostituite, all’inizio degli anni Duemila, da macchinari molto più complessi e performanti acquisiti però da terzi.

Gli uffici della sede di Gorle negli anni Sessanta.

Ma intanto l’azienda era rimasta orfana: nel 1976 un infarto si era portato via Massimiliano e Pietro si era ritrovato, a 33 anni, al timone dell’impresa. Racconta Massimiliano (l’attuale CEO): «Dimostrava molti anni meno della sua età, sembrava un ragazzino eppure emanava un’aura da leader tanto che gli altri soci, pur essendo più anziani, fin da subito gli hanno dato piena fiducia». Così era stato investito di tutta una serie di funzioni diverse: oltre a essere CEO, era anche direttore generale, responsabile del personale e delle relazioni sindacali e infine responsabile della divisione elettromeccanica, troppo per una persona e decisamente anacronistico anche per quei tempi. A poco a poco sarebbero entrati altri collaboratori a svolgere quelle mansioni ma a lungo Pietro vorrà mantenere l’interlocuzione con i sindacati convinto com’è dell’importanza di avere buoni rapporti con i collaboratori che, a suo parere, si raggiungono con il dialogo costante, la trasparenza, la volontà congiunta di risolvere i problemi non appena insorgono. Il risultato sarà un’affezione non comune dei collaboratori all’azienda che a sua volta si tradurrà in una percentuale bassissima di abbandoni. Dopo molti anni Pietro scriverà: «Ogni volta mi compiaccio nel vedere come la Lovato Electric rappresenti non solo una realtà imprenditoriale solida e affermata, ma una comunità fortemente radicata nel territorio, unita da legami profondi e da valori comuni: correttezza, lealtà, passione per il proprio lavoro, riconoscenza, spirito di squadra». Gli stessi valori che consentiranno all’azienda di mettere in campo trasformazioni dolorose senza tagli «sanguinosi». Un esempio? La chiusura, all’inizio degli anni Novanta, della divisione quadri elettrici, non più profittevole: tutte le persone che vi lavoravano saranno ricollocate internamente.

Reparto costruzione stampi dell’azienda alla fine degli anni Settanta.

Mentre Lovato Electric cresceva impetuosamente in complessità e diversificazione, modernizzava l’attrezzeria (che è il settore in cui vengono prodotti gli stampi per realizzare gli elementi da inserire all’interno dei suoi prodotti) e lo stampaggio e rivoluzionava il catalogo introducendo nella sua produzione i microprocessori, cresceva anche il figlio di Pietro, Massimiliano. Senza che l’esistenza di un’impresa di famiglia facesse più di tanto capolino nella sua vita e nei suoi pensieri: «Mio padre aveva vissuto l’azienda fin dall’infanzia, la casa era adiacente allo stabilimento dove lui girava in bicicletta, c’erano gli attrezzi, il muletto, tutto un mondo che aspettava solo di essere esplorato dall’energia di un bimbo. Invece il mio percorso è stato diverso e potrei dire che fino a 23 anni non dico che non sapessi cosa faceva di lavoro mio padre ma quasi. Dopo il diploma di liceo scientifico ho conseguito la laurea in Economia Aziendale alla LIUCC di Castellanza, allora agli inizi tant’è che sono stato il laureato n.19, e a quel punto… non avevo per nulla le idee chiare sulla strada da intraprendere. Grandi passioni non ne avevo, sì certo, mi piaceva giocare a calcio, ma chiaramente non poteva essere un obiettivo. È così che ho cominciato a valutare l’entrata in Lovato Electric. Devo dire che mio padre è stato, in quell’occasione come poi in altre, molto equilibrato: non ha mai esercitato su di me pressioni perché scegliessi l’attività di famiglia, casomai sono stato io che a un certo punto ho sentito dentro di me una sorta di voce che mi spingeva a quell’opzione. Sono però certo che se fossi stato deciso a fare altro, mio padre non avrebbe eccepito nulla».

Una volta accesa quella prima scintilla, l’attaccamento di Massimiliano per l’azienda non è mai scemato, anzi è cresciuto di pari passo con l’aumento di responsabilità e anche di consapevolezza imprenditoriale. Merito anche in questo caso del papà: «Sono entrato come assistente di mio padre. Lui non credeva a quell’iter che ai tempi era un classico: alcuni anni in un ufficio, altri in un altro settore e così via finché non ci sarebbe stata la ragionevole certezza che “l’erede” avesse acquisito tutte le conoscenze e le capacità necessarie per prendere il timone. Lui invece fin dall’inizio mi ha detto: vai, guarda, fai, agisci come meglio credi, in qualità di deputy potevo occuparmi di tutto». Ovvio che questa scelta ha comportato innanzitutto che Pietro Cacciavillani facesse un passo indietro in tante situazioni, che sono diventate sempre di più man mano che il figlio progrediva dal punto di vista imprenditoriale: «Credo sia stata una scelta difficile per lui perché quando si è abituati a reggere “lo scettro del comando”, ci si diverte ed è facile che subentri quell’egoismo che fa sì che al figlio si ceda un pezzettino microscopico di potere alla volta sicché magari dopo dieci anni la situazione vede un padre, ormai anziano, che non vuole cedere le parti del lavoro che gli piacciono di più e il figlio, che ormai non è nemmeno lui di primo pelo, ancora marginalizzato». Pietro però guarda lontano e sa che la sua scelta è quanto mai sensata perché, come scriverà: «Finché sei al posto del passeggero la strada non la impari». E «tutto questo è avvenuto – puntualizza Massimiliano – quando mio padre era ancora giovane, non quando era ormai un ottantenne. Quindi gli sarà stato ancora più arduo fare quel passo indietro, che pure ha fatto nell’interesse dell’azienda». E poi essere capaci di lasciar anche sbagliare perché – questo il pensiero di Pietro – “solo chi sbaglia impara davvero”, sapersi trattenere dal dire, dall’alto della propria esperienza, “ma sei proprio sicuro?”.

Ufficio progettazione elettronica oggi.

Massimiliano è sincero quando si augura di avere la stessa forza di suo padre quando e se verrà il momento: ha tre figli ancora relativamente piccoli, una regola, non scritta ma impressa con il fuoco nelle carni, si potrebbe dire, della Lovato Electric prevede che solo un membro della famiglia entri in azienda («non è che si può comandare in cinque»), ed è ancora troppo presto per sapere chi sarà il prescelto e se ce ne sarà uno perché «non penso sia giusto inculcare nei figli, fin da quando sono piccoli, l’idea che dovranno entrare nell’azienda di famiglia. Anche perché fare l’imprenditore presenta innegabili vantaggi, ma non è una passeggiata. E non è detto che sia la scelta giusta per tutti: devi saper reggere lo stress, essere in grado di valutare una persona dopo non dico uno, ma mezzo colloquio, riuscire a costruire un progetto imprenditoriale a 360 gradi, coltivare la dedizione come stile di vita perché gli altri partono dal presupposto che tu sia sempre disponibile, a maggior ragione con la tecnologia di oggi. Bisogna perciò stare attenti a non rovinare la vita di una persona né a metterla nelle condizioni di far male perché noi abbiamo una responsabilità sociale, verso i nostri collaboratori, verso il territorio. Certo qualche indicazione la trai dalla vita domestica quotidiana: per esempio, io ho sempre dato la sensazione di impegnarmi nelle cose che facevo mentre se un ragazzo è inconcludente, non porta mai “a terra” nulla, continua a cambiare, chiaro che non è il caso che faccia l’imprenditore, proprio per il suo bene». E in ogni caso, conclude pragmaticamente, oltre alle doti personali, anche la fortuna conta e non poco.

Ufficio progettazione elettromeccanica e Product specialist.

L’attaccamento e il senso di appartenenza al territorio sono forti: «Non solo, della mia terra vado anche orgoglioso. Questa è una zona fantastica per chi vuole fare impresa, c’è l’aeroporto, l’università, il Kilometro Rosso, l’Intellimech che è un consorzio di meccatronica di cui sono stato uno dei fondatori. E poi c’è il rapporto con le scuole che mi appassiona e che trovo fondamentale tant’è che nel gruppo Meccatronici Confindustria ho la delega all’education. In questo campo abbiamo messo in campo un’organizzazione importante che si esplica fin dalle medie inferiori con i PMI Day quando apriamo le nostre aziende proprio ai giovanissimi. E poi interagiamo parecchio con gli Istituti Tecnici Superiori che rappresentano il nostro target per eccellenza perché le aziende hanno un estremo bisogno di tecnici, forse più che di laureati». Il programma si articola in giornate di incontro e di formazione sia per gli studenti («da noi tipicamente facciamo fare un giro completo per i vari reparti spiegando come è strutturata un’azienda elettrotecnica e anche i lavori che vi si possono svolgere, perché spesso i ragazzi non ne hanno la più pallida idea, oppure organizziamo un mini corso, per esempio la programmazione base di un PLC») sia per i docenti. Su questo ultimo punto Massimiliano è tranchant: «Purtroppo ci sono professori che da trent’anni non entrano in una fabbrica e che perciò conoscono poco la tecnologia che ormai vi domina. Come possono motivare i ragazzi e trasmettere un know how se non lo posseggono nemmeno loro? Ecco perché stiamo lavorando con tanti docenti e presidi delle superiori, ci è stato anche chiesto un aiuto nella stesura del piano formativo di un ITS di Elettricità ed Elettronica qui a Bergamo, cosa opportuna perché chi meglio di noi sa quali sono le competenze che devono essere acquisite? Lato nostro, come imprenditori dobbiamo smettere di lamentarci dei giovani che arrivano e non sanno niente. Dobbiamo dare una mano per migliorare la situazione, occorre mettersi in gioco, ovviamente nel rispetto degli ambiti di ciascuno. Anche questo è avere un ruolo sociale sul territorio». Tra l’altro Lovato Electric possiede una vivacissima Academy interna dove si erogano, sia in presenza sia online, corsi destinati essenzialmente agli operatori del settore, ma anche agli insegnanti.

Anche sulla cosiddetta «attrazione dei talenti» Massimiliano ha le idee chiare: «Molti imprenditori si lamentano di non riuscire a trovare i profili di cui hanno necessità, ma io mi chiedo sempre: “cosa fanno per rendersi visibili e conosciuti?”. Bisogna investire sulla comunicazione della propria realtà – e qui Massimiliano mi porge una brochure – vede? L’abbiamo realizzata non per i clienti, ma proprio per i ragazzi, per raccontarci a loro. E poi occorre saper trattenere i collaboratori: è inutile continuare a ripetere che dopo tre-quattro anni i ragazzi se ne vanno, bisogna mettere in atto un programma ben preciso perché non lo facciano. Già mio padre l’aveva capito quando più di trent’anni fa ha inaugurato la mensa interna, che con la costruzione del Lovato Rest, nel 2016-2017, è stata affiancata da una palestra con corsi gratuiti e un’area relax a disposizione dei collaboratori. E per aiutare i genitori di bambini in età prescolare, ci sono posti riservati all’asilo comunale che è a poca distanza dall’azienda così come una serie di attenzioni nei confronti delle neomamme. Credo nell’importanza di un ambiente di lavoro che faciliti la produttività, ma anche l’armonia e le relazioni interpersonali. Io ripeto sempre a tutti che se si avverte un problema bisogna parlarne perché non è qualcosa di personale, è un nodo che coinvolge tutti. Posso dire che siamo molto attenti ai nostri collaboratori anche se può darsi che qualcuno faccia più fatica ad aprirsi così come non tutti i manager hanno la stessa sensibilità affinata a captare i segnali di disagio». Un’altra leva per migliorare la retention è la formazione: «Non siamo tutti uguali, ma in genere i corsi sono molto apprezzati e non parlo tanto di quelli che si tengono all’Academy che sono specifici sul prodotto, quanto di quelli trasversali come i corsi di inglese o di comunicazione». Infine anche la mobilità interna, su richiesta, è un plus: «Chi si annoia a svolgere sempre la stessa mansione sa che al nostro interno ci sono tanti dipartimenti tra i quali scegliere e acquisire nuove competenze».

Vero fiore all’occhiello dell’azienda è il Lovato LAB, quasi 2000 metri quadrati con attrezzature avanzate che consentono di ricreare situazioni particolari come il cortocircuito da 50.000 Ampere che, «se utilizzassimo la rete elettrica comunale, spegneremmo Gorle». Il LOVATO LAB è nato innanzitutto dalla necessità di testare i nuovi prodotti e di validarli in conformità con le norme internazionali vigenti. Spiega Massimiliano: «La progettazione di un prodotto è sempre virtuale, nel senso che si avvale di software appositi, ma è chiaro che prima di procedere a costruire stampi e linee di produzione dobbiamo prototiparlo e poi testarlo. E per eseguire i test o ci si attrezza diciamo “in casa” con una serie di macchinari oppure ci si deve appoggiare a laboratori esterni. Noi abbiamo scelto la prima strada, abbinando la ricerca alla certificazione necessaria per poter poi accedere ai mercati europeo e americano. Questo ci ha consentito di ridurre sensibilmente il time to market, essenziale perché se impiego cinque anni ad affinare un prodotto rischio che arrivi ormai obsoleto sul mercato visto che i materiali via via migliorano e i componenti elettronici pure. Non solo, ma avere il laboratorio interno consente di aumentare il nostro know how perché possiamo provare e riprovare e riprovare ancora in presenza di quante persone vogliamo». Anche questa verticalizzazione è, secondo Massimiliano, una caratteristica che piace ai candidati: «Chi viene da noi è in grado di seguire lo sviluppo di un pezzo dall’inizio alla fine e si sente quindi più coinvolto e partecipe dell’intero ciclo di produzione. Diverso è il caso della multinazionale nella quale magari si progetta in Svezia, si produce in Romania e tutte le decisioni vengono prese in Svizzera. Ed è difficile che il team di progettazione riceva un feedback diretto dalla rete di vendita. Qui è completamente diverso, la nostra forza è proprio quella di avere tanta tecnologia, quanta le aziende delle nostre dimensioni in genere non hanno, concentrata in un posto solo. E che si traduce in un vantaggio competitivo sia nei confronti dei grandi gruppi multisito che non sono coesi e veloci come noi sia nei confronti delle realtà più piccole che spesso non hanno la possibilità di dotarsi delle migliori tecnologie.

Ancora una vista dell’ufficio progettazione elettronica.

Ma tutte le competenze che in Lovato Electric si rendono necessarie si riescono a trovare sul territorio? La risposta è netta: «Fino ad adesso sì. Anzi aggiungo che quando valuto un curriculum, uno dei primi dettagli che vado a vedere è il luogo di residenza. Perché se una persona impiega un’ora o un’ora e mezza per venire al lavoro e altrettanto per tornare, prima o poi gli peserà, anche economicamente. È una strategia di selezione: se ci si può spostare da casa all’azienda in bicicletta a mio parere è qualità della vita, è tempo risparmiato e il tempo è la cosa più preziosa che abbiamo».

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Published by
Anna Brasca
Tags: 2023

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