Heritage al femminile: Workout magazine incontra Lisa Molteni, CEO di Fonderia Augusta S.r.l.
Il nome, Fonderia Augusta, qualche perplessità te la fa sorgere. Chissà poi perché «augusta». Qualche reminiscenza di studi classici condita con un pizzico di altezzosa autocelebrazione? O un augurio magniloquente per un futuro «alto»? Niente di tutto questo. Ce lo spiega Lisa Molteni, CEO dell’impresa e terza generazione della famiglia dei fondatori: Augusta era il nome della nonna, la cui storia è strettamente intrecciata a quella della Fonderia di cui era socia e nella cui gestione «è sempre stata molto presente». Di cognome Gotti, classe 1926, «era “augusta”, nomen omen, in tutti i sensi, instancabile e inarrestabile, super in tante cose… anche super autoritaria» racconta Lisa. Incontra Edoardo Bettoni, che diventerà suo marito, nell’officina dove lei è impiegata e nella quale si costruiscono macchine tessili: proprietari Edoardo e il fratello, maggiore di 10 anni. Il matrimonio, come si usava ai tempi, è coronato dall’arrivo dei figli: potrebbe essere la storia di una famiglia piccolo borghese come tante alla vigilia del «miracolo italiano», ma invece il quadro diventa ben presto più interessante.
È il 1956 quando Edoardo si imbarca sul transatlantico che lo porterà oltreoceano, in Cile, dove vuole aprire una sua attività. Peculiare la scelta di emigrare: i Bettoni sono una famiglia che si potrebbe definire benestante, in ogni caso non hanno il background di miseria che caratterizzava i fenomeni migratori, in quegli anni come pure nei primi decenni del secolo. Però Edoardo è curioso, non si accontenta, ha idee più grandi, così decide di lasciare il lavoro in officina e di partire alla volta del Nuovo Mondo: raccoglie qualche macchinario e con un bell’assortimento di capi da bambino (la sorella ha un negozio di abbigliamento in centro a Bergamo) lascia l’Italia con destinazione Vigna del Mar. L’intenzione è di vendere il campionario per monetizzare e intanto aprire una fonderia visto che negli anni dell’officina ha acquisito un po’ di esperienza di fusioni. Anche la destinazione è inconsueta: nel Novecento i Paesi del Sudamerica che hanno visto un massiccio flusso di Italiani sono stati Argentina e in seconda battuta Brasile. Il Cile non era una meta particolarmente ambita ma lì ci abitavano alcuni conoscenti di Edoardo, quindi alla fine «era un luogo non così estraneo per i miei nonni».
Non solo, a legare la famiglia Bettoni a quella terra è anche una storia romantica, quella di un amore tormentato tra due parenti acquisiti di Edoardo, «proibito» perché si tratta di zio e nipote, una situazione intollerabile per le famiglie che decidono di separare i due innamorati. Lui viene mandato in Argentina e da lì si sposterà poi in Cile, continuando negli anni a mantenersi in rapporto epistolare con la donna che ama. Non potranno mai sposarsi, ma si promettono i loro figli se la sorte manderà loro un maschio e una femmina. Sarà così ma tra questi due giovani l’amore non sboccia, sostituito da un interesse affettuoso testimoniato da tante lettere, proprio come avevano fatto i rispettivi genitori; sarà solo alla terza generazione che la promessa sarà «mantenuta».
Torniamo a Edoardo: sei mesi dopo il suo arrivo in Cile viene raggiunto da Augusta che ha al suo seguito i due figli piccolissimi, il maggiore ha tre anni, il secondo solo due. In quel semestre Edoardo si è trasferito nella capitale, a Santiago e lì ha dato l’avvio all’impresa. L’inizio è duro, i Bettoni devono contare il centesimo («La nonna raccontava che ogni giorno Edoardo le dava 5.000 pesos che dovevano bastare per tutte le spese e che economie per far saltar fuori i soldi per quattro sigarette!»), si dorme su materassini gonfiabili perché non ci si può permettere letti veri. A quello di Augusta sarà fatale la sua passione (ma era anche necessità) per il cucito: uno spillo dimenticato malauguratamente in un abito lo buca, ma di sostituirlo non se ne parla, Edoardo ogni sera lo gonfia e pazienza se al mattino è già a terra.
Gli anni passano veloci, la famiglia si allarga: altri quattro figli, tra cui la mamma di Lisa che racconta di un’infanzia serena, delle scuole gestite dalle suore spagnole e di una Santiago dove c’erano quartieri così poveri che le case erano fatte di fango. Gli affari adesso vanno bene, ma il Cile in quello scorcio finale degli anni Sessanta è già sull’orlo del baratro dove cadrà nel 1973 con il colpo di Stato di Augusto Pinochet. I Bettoni sono inquieti, percepiscono tanti segnali che li allarmano, temono che l’affermazione di Allende alle urne possa preludere a una confisca dell’azienda, dopo tutto sono «stranieri in terra straniera». La prima reazione è la decisione di imparare l’inglese: si potrebbero spostare in Australia, la nuova terra dalle mille opportunità. Poi però Edoardo torna in Italia per un breve periodo e il suo fiuto gli fa intravedere delle opportunità nel Paese natìo. La decisione è rapidamente presa: si torna tutti a casa. Come sempre Edoardo precede la famiglia e sarà Augusta a dover smantellare quella che era stata la loro vita in Cile: svuotare la casa, organizzare in bauli ciò che vale la pena portare via, sistemare i due figli maggiori che resteranno là ancora un anno per finire le scuole superiori. Nel 1970 ad Almè, a una manciata di chilometri da Bergamo, nasce Fonderia Augusta – soci Edoardo e Augusta – che pochi anni dopo si sposterà a Costa di Mezzate dove si trova tuttora.
Tutti i sei figli Bettoni entreranno uno dopo l’altro nell’impresa, in un’organizzazione molto basic che semplicemente ripartiva i diversi settori – e le diverse mansioni – tra «gli attori» in gioco: uno zio di Lisa si occupava della tecnologia di processo e della fonderia, un altro era dedicato al reparto di finitura, e gli altri due rispettivamente alla manutenzione e alla progettazione di impianti e al commerciale e qualità. L’unica zia era preposta alla sicurezza e alle risorse umane mentre la mamma di Lisa era a capo dell’amministrazione. Avere la famiglia in tutti i ruoli chiave sarà una delle complessità che in futuro Lisa, ma anche i suoi parenti, incontreranno, tuttavia in quel momento è una scelta quasi naturale e d’altra parte a quei tempi «c’era molto meno burocrazia, tutto era più semplice». Purtroppo quando nel 1984 Edoardo muore, appena sessantenne, i figli sono ancora giovani sicché la gestione della Fonderia cala sulle spalle di Augusta che raccoglie la sfida con l’energia che la contraddistingue: «Non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno» sorride Lisa.
Ma qui occorre aprire una parentesi e spiegare che cosa Fonderia Augusta produce. Una cinquantina di dipendenti, 12 milioni di fatturato, l’azienda è specializzata nella produzione di fusioni in acciaio e leghe speciali su disegno del cliente, in molteplici geometrie, fino a un peso di oltre 4 tonnellate del singolo getto e vanta un’esperienza consolidata e riconosciuta nella produzione di pompe, valvole, giranti, diffusori e supporti, oltre a molti altri componenti per l’industria meccanica. I settori che supporta sono moltissimi: trattamento acqua, energia, chimico, oil & gas, navale, cartario, dragaggio e ovviamente trasporti.
Gli anni passano e l’azienda cresce, ma un secondo lutto colpisce la famiglia: la morte prematura, nel 1994, del primogenito di Edoardo. Il dolore è tanto, devastante, ma la perdita è sentita anche in Fonderia dove tutti si devono riassestare velocemente: il ruolo e le competenze tecniche del fratello scomparso vanno riassorbite dagli altri.
C’è un altro anno cruciale, anche se in senso positivo, nella storia della Fonderia: il 2008. Anno in cui viene raddoppiata la superficie coperta dello stabilimento, spostati i forni e installato un impianto di aspirazione estremamente efficiente con condotti in corrispondenza di ogni postazione di lavoro il che ha consentito di abbattere in modo considerevole fumi e polveri a rischio di inalazione. Non solo, viene costruita anche una parte sotterranea destinata agli stampi riempiti di metallo liquido in raffreddamento, anche in questo caso con l’obiettivo di diminuire i fumi che derivano dal processo. «È stato un investimento pazzesco che prevedeva anche impianti interfacciati con il gestionale – sottolinea Lisa – assolutamente in anticipo rispetto ai tempi e il cui fine era il miglioramento dell’ambiente di lavoro. Poi, certo, l’azienda è diventata più grande, la qualità degli impianti ha fatto un deciso passo in avanti, la capacità produttiva è aumentata, ma non era quella la molla principale che ci muoveva: noi volevamo che i nostri dipendenti stessero meglio».
Ascoltare Lisa mentre racconta il suo percorso di vita e professionale, non lineare, fatto di scelte anche a volte dettate dal caso ma poi gestite con intelligenza ed entusiasmo, di cambi di direzione anche importanti, significa ripercorrere le storie di tanti giovani, donne e uomini, al giorno d’oggi, in un momento in cui la stabilità del posto di lavoro non sembra essere più un valore assoluto o forse semplicemente è diventata impossibile.
Cominciamo dagli studi: liceo scientifico («perché la matematica mi è sempre piaciuta»), ma poi corso di laurea in Comunicazione («Mi sembrava molto interessante») a Bologna, per poi passare al nuovo ordinamento per poter sfruttare la possibilità di seguire un corso di un’altra facoltà (Lisa sceglierà marketing nella facoltà di Economia) e di imparare un’altra lingua (sarà lo spagnolo). Terminata la triennale Lisa però è satura: troppa teoria, troppe discipline bellissime, ma che le appaiono slegate dalla realtà quotidiana. Lei è intenzionata a specializzarsi in comunicazione d’impresa, ma vorrebbe più concretezza: andrà allo Iulm di Milano dove studia consumi, distribuzione commerciale e, appunto, comunicazione d’impresa e dove le sembra di entrare finalmente in contatto con il mondo del lavoro. Lo definisce un biennio interessante, il giudizio non suona entusiastico al cento per cento anche se Lisa riconosce che, nonostante gli esami di comunicazione d’impresa fossero pochi, ciò che ha imparato lì, l’ha aiutata molto in un secondo tempo, quando è entrata in Fonderia.
Appunto, l’azienda di famiglia. Lisa aveva già in mente di lavorarci al momento di scegliere la facoltà a cui iscriversi? Risposta netta: «Assolutamente no – ride – Il messaggio di mia madre era, al contrario, di andare per la mia strada, fare altre esperienze, trovare le mie attitudini e i miei desideri e seguirli», invito indirizzato non solo a Lisa, ma anche agli altri due figli di cui il maschio, Gabriele, ha poi scelto la Fonderia, mentre la sorella fa la psicoterapeuta. Lisa comincia a lavorare nel 2005 e come tutti i neolaureati si ingegna a trovare un’occupazione purchessia, «ho fatto qualche lavoretto qua e là anche perché in quegli anni nel mio campo non è che fioccassero le offerte di lavoro pagate», l’esperienza più lunga in quel periodo è come tutor del corso di sceneggiatura del Centro Sperimentale di Cinematografia di Lombardia – non stupitevi, la sua formazione eclettica negli anni bolognesi ha contemplato anche storia critica del cinema – un lavoro che l’ha appassionata anche perché «ho visto diventare bravi registi ragazzi che avevo seguito». L’occupazione successiva è un tirocinio come copywriter in CartaSì, all’Ufficio Comunicazione: sette mesi o poco più, in un ambiente in cui si trova perfettamente a suo agio, con una diretta responsabile che le spiega, le dà feedback costruttivi, «mi ha insegnato tantissimo». Ma come quasi sempre accade, a questa esperienza non segue un’assunzione, quello è un momento delicato per la Società, alcuni azionisti importanti ne sono appena usciti, insomma è più un periodo di riassetti con «scivoli» e incentivi alle dimissioni più che di nuovi ingressi. Lisa deve cercare altro.
L’annus horribilis, anche dal punto di vista privato, inizia subito dopo: si chiude una convivenza importante, Lisa si ritrova «senza fidanzato, senza casa, senza lavoro» e torna a casa dei genitori dove la situazione che trova non è tranquillizzante, anzi. Il papà, che è titolare di una tipografia di moduli commerciali, ha dei seri problemi di salute, deve subire un’operazione importante e chiede alla figlia di occuparsi dell’impresa durante la sua assenza: «mi aveva detto che si sarebbe trattato al massimo di qualche settimana, ci sono rimasta un anno e mezzo… con un passaggio di consegne di 4 ore». Chiunque ne sarebbe stato sgomento, ma evidentemente qualcosa del DNA di Augusta Gotti è passato alla nipote perché Lisa si rimbocca le maniche e comincia a «fare tutto, perfino le consegne ai clienti, eravamo io e un operaio e fortuna che lui era autonomo». A poco a poco Lisa prende in mano la tipografia, ci sono alcune cose che secondo lei vanno messe a punto («soffro un po’ di perfezionismo» ammette sorridendo), e quando finalmente le riesce di rilassarsi perché è più sicura di sé, si fa artefice anche di qualche piccola iniziativa di comunicazione: «non so mai se scriverlo o meno nel curriculum perché magari fa sorridere, ma alla fine ero veramente la General Manager dell’impresa pur nelle sue piccolissime dimensioni». Forse il papà di Lisa non si aspettava una performance così brillante… quando torna al lavoro e vede ciò che è stato fatto le propone di restare alla guida della tipografia, ma lei rifiuta: «Io volevo fare comunicazione d’impresa e volevo imparare da qualcuno che lo sapesse fare bene».
Questo «qualcuno» è Contactlab, un’agenzia che si occupa di Customer Engagement digitale e ha un settore creativo dove Lisa entra come copywriter. Comincia una fase di vita che lei considera come la più formativa, «è quella della mia epica personale, durante la quale sono cresciuta in tutti i sensi». Colleghi giovani come lei, «un ambiente bellissimo, si lavorava tanto ma senza sfibrarsi, spesso tutti insieme andavamo fuori a cena», un lavoro innovativo rivolto a grandi marchi: «abbiamo supportato il passaggio alla digitalizzazione dei maggiori brand del luxury, abbiamo loro insegnato l’email marketing in un momento in cui il mondo imprenditoriale italiano non sapeva quasi nemmeno cosa fosse», una responsabile che le dà spazio e fiducia: «Ho perfino tenuto una conferenza a una platea di 300 persone, solo perché me l’aveva chiesto lei». Dal fare la copywriter Lisa passa, dopo quattro anni, al ruolo di Digital Strategist occupandosi di comunicazione e analisi dei dati a cui affianca esperienze didattiche allo IED, allo IULM, In Bocconi.
È «l’età dell’oro» di Lisa, più di otto anni passati in un lampo che però a un certo punto e quasi incredibilmente cominciano a lasciarle un senso di insoddisfazione. La sua responsabile se ne è andata, anche il contesto è un po’ cambiato, forse sono solo diventati tutti più grandi, ma il rovello maggiore è un altro: davvero vuole occuparsi per tutta la vita di servizi? Non si tratta tanto dei singoli progetti, che continuano a essere stimolanti, quanto proprio dell’essenza stessa di quel tipo di lavoro: «Cominciavo a sentire dentro di me una specie di urgenza, di voglia di occuparmi di prodotti, di “cose” che avrei potuto seguire dall’inizio alla fine, mentre in una società di consulenza tu proponi, ma poi è il cliente a decidere cosa vuol fare, arrivi sempre e solo fino a un certo punto». E così che inizia a pensare all’impresa di famiglia: «Mi sono detta che quello era il momento giusto per andare a scoprire la Fonderia: adesso o mai più».
Chiede un colloquio agli zii (eh sì, c’erano ancora quasi tutti) e la reazione è di entusiasmo e perplessità insieme: che la nipote entrasse in azienda era visto con favore, ma a cosa poteva servire occuparsi di comunicazione e marketing in una fonderia che fa subfornitura? Comunque, alla fine, il cartellino che le appuntano sul petto recita: Responsabile marketing e comunicazione. Solo sei mesi prima lo stesso percorso l’aveva fatto il fratello (più piccolo di lei di qualche anno), ingegnere meccanico, con la prospettiva invece di andare a sostituire il capofonderia. I due cominciano a muovere i primi passi cauti in azienda, «all’inizio è stato un po’ faticoso, soprattutto sul piano relazionale», ma c’è il fratello, si spalleggiano a vicenda. I primi incarichi sono incentrati sul company profile, sulla realizzazione di alcune brochure, su un viaggio negli Stati Uniti per presentare Fonderia Augusta a un’associazione di fonderie americane: «Erano venuti in Italia incuriositi dalla nostra realtà che Assofond promuoveva in quanto molto bella anche dal punto di vista tecnologico. Poi ci hanno invitati là per ricambiare la visita: ho presentato la nostra case history e per poter approntare una relazione sufficientemente tecnica ho dovuto interfacciarmi con tutti, è stata un’occasione davvero proficua». In quel periodo iniziale Lisa si dedica allo «studio» della sua azienda, a capirne meccanismi e risvolti, e a poco a poco in lei si fa strada la consapevolezza di voler – e dover – essere motore di un cambiamento.
Come già detto, l’organigramma dell’impresa a quei tempi era «assolutamente piatto perché in famiglia, tra mamma e zii, si era in tanti e ognuno si era ritagliato un ruolo paritario agli altri», ma alla vigilia del secondo decennio degli anni Duemila questo tipo di organizzazione non poteva reggere alle nuove sfide e alla velocità di reazione necessaria per far loro fronte. Bisognava iniziare a ridurre il sovraccarico nei ruoli chiave. Il primo passo è stata l’assunzione nel 2019 di un Responsabile commerciale: «ho fatto io i colloqui perché spostare il ruolo del commerciale da un titolare dell’azienda a una figura esterna alla famiglia era una decisione delicata di cui ho voluto prendermi la responsabilità. In quel periodo non ho fatto altro che togliermi e mettermi “cappellini”, un giorno ero sulla formazione, il giorno dopo sulla comunicazione e il giorno dopo ancora sulle HR…». Lisa non si tira mai indietro: «Dopo poco più di tre settimane dal mio ingresso sono andata a fare expediting, pratica per me ignota, in un’officina meccanica terza con cui stavamo lavorando, mio zio non aveva tempo, le impiegate del commerciale erano oberate sicché restavo solo io…». Come a dire: un battesimo di fuoco. Non bastasse quello, Lisa si incarica per un periodo anche della registrazione delle non conformità: «Ho imparato tantissimo dalle segnalazioni dei clienti».
Negli anni successivi Lisa si è concentrata, insieme al fratello, sull’organizzazione di una struttura gerarchica («per far capire, a mio fratello riportavano tutti e 30 gli operai») e su un modo diverso di lavorare che privilegia la responsabilizzazione dei singoli dipendenti, dando loro autonomia decisionale: «In tutti questi cambiamenti i miei zii ci hanno lasciato davvero tantissimo spazio, ma noi sentivano l’esigenza di una figura che coordinasse i vari passi, le decisioni e che nel contempo aiutasse il dialogo tra generazioni«. Così nel 2019 viene assunto un Direttore Generale che ha rappresentato un cambiamento davvero a 360° in termini di mentalità e di approccio: è stato lui a fare di Lisa il CEO della Fonderia e del fratello il Direttore Operations, a sostenere la scelta di riempire le «caselle a interim» dell’organigramma con nuove figure e poi a spingere per il cambio del gestionale, un momento sempre traumatico per un’azienda («ci abbiamo pensato veramente tanto prima di partire, sapevamo che sarebbe stato un passaggio irto di difficoltà. E in effetti i primi tre mesi sono stati pesantissimi perché ha impattato sul processo produttivo provocando anche ritardi nelle consegne, ma adesso la situazione si è normalizzata»).
In quel periodo a fare da spalla a Lisa nel progetto di cambio del gestionale è un giovane ingegnere meccanico, un tirocinante poi assunto che si rivela preziosissimo: «Il suo contributo è stato molto importante, poi, finito il progetto, ha deciso di crescere in quel ruolo andando a lavorare in un’altra azienda a Milano, cosa di cui mi sono molto dispiaciuta. I giovani brillanti possono fare molta esperienza in un’azienda come la nostra: il processo produttivo di fonderia è complesso e una persona neolaureata può farsi le ossa avendo la possibilità di seguirlo per intero. La nostra dimensione magari non ci permette di pagare stipendi da multinazionale, ma offre il vantaggio di ruoli flessibili e dell’acquisizione di competenze che possono essere anche molto trasversali. Che credo sia un buon modo per cominciare un percorso professionale». Il parere di Lisa è che stia entrando in gioco un cambiamento caratteriale del mondo giovanile difficile da decodificare. Secondo lei nei giovani non c’è solo il desiderio, più volte sottolineato dai media, di cercare un migliore equilibrio tra vita privata e lavoro o il rifiuto di contesti giudicati tossici, c’è anche qualcosa che blocca anziché spingere avanti di fronte all’incertezza sul proprio futuro e che prescinde perfino dalla retribuzione e dalla posizione offerta. Le parole di Lisa tradiscono quasi incredulità: «Anch’io appena laureata non sapevo bene cosa avrei fatto, ma almeno ero consapevole di quello che non avrei voluto fare e soprattutto se mi avessero offerto un tirocinio retribuito mi sarei precipitata. Oggi non sembra così, a volte «leggo» nei giovani candidati che si presentano molta confusione e quasi l’assenza di una reale spinta a imparare, a muoversi, a rischiare. Dovremo trovare il modo di aiutare questi ragazzi a superare l’impasse».
Il percorso che Lisa ha davanti è ancora lungo, ma le idee sono chiare. Per esempio sulla necessità di concentrarsi sulle risorse umane: «Le competenze delle persone sono fondamentali ma non sono sufficienti perché un’organizzazione funzioni bene. Entrano in gioco i caratteri differenti delle persone, le aspettative spesso non esplicitate o inconsapevoli, i desideri, le paure, le frustrazioni. Tutte variabili che non spariscono quando si affrontano le sfide e le complessità di un’azienda produttiva in un mondo che è in continuo divenire. L’organizzazione manageriale adesso c’è. Allenarsi al cambiamento e lavorare sul piano relazionale, oltre che su quello tecnico, sono gli aspetti su cui ci vogliamo concentrare in futuro. Abbiamo in programma di ristrutturare il piano terra per creare altri uffici e nuovi spazi di condivisione e di continuare a investire sulle persone, perché è solo con una squadra preparata e affiatata che si può andare lontano. Ormai abbiamo imparato che niente si raggiunge con uno schiocco di dita e che non ci sarà mai “il momento giusto” per fare le cose, ma perseverando e rialzandosi dopo le cadute, i risultati e il cambiamento si vedono ed è una grande soddisfazione voltarsi indietro e dire: è stata dura, ma anche questo l’abbiamo portato a casa! È stato così con il passaggio generazionale, con il cambio del gestionale e anche per la struttura organizzativa dell’azienda. Lo sarà anche per le prossime sfide. E ogni volta saremo più attrezzati, con un obiettivo più alto negli occhi e con più chilometri nelle gambe».
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