Trasporti e sostenibilità, un binomio possibile?

Workout Magazine - Studio Chiesa communication

Trasporti e sostenibilità, un binomio possibile?

Heritage al femminile: Workout magazine incontra Camilla Buttà, Communication & Sustainability Manager di Vector S.p.A.

Di primo acchito associare un’impresa di trasporti internazionali a un concetto di sostenibilità pare una faccenda ingarbugliata. Nella migliore delle ipotesi evoca un ossimoro, soprattutto se parliamo di ambiente. Basta dare una scorsa ai dati dell’Inventario Nazionale delle Emissioni in atmosfera redatto annualmente da ISPRA oppure a quelli dei rapporti TERM dell’EEA (European Environment Agency): con pochi scostamenti da un anno all’altro – la sola grande eccezione è stato il 2020, contrassegnato dalla pandemia di Covid – i trasporti sono responsabili di un quarto delle emissioni di CO2 con una fonte prevalente (più del 90%) costituita dal trasporto su gomma, seguito dalla navigazione, dall’aviazione e, fanalino di coda, dal trasporto su rotaia. Senza contare che l’impatto sull’ambiente non è riconducibile solo al tema delle emissioni dei gas serra, ma anche alla gestione dell’energia e delle risorse naturali nonché dei rifiuti. La sensazione in questi casi è di andare a parlare di corda in casa dell’impiccato con tutto quel che ne consegue, ammissioni imbarazzate o risposte evasive che siano. Invece Vector è stata una sorpresa.

Veduta aerea della Vector.

Fondata nel 1978 a Castellanza, collocazione quanto mai strategica vista la vicinanza dell’aeroporto di Malpensa, e lì ancora saldamente insediata, Vector S.p.A. vanta un curriculum di tutto rispetto di cui Camilla Buttà, della famiglia proprietaria dell’azienda di cui è Sustainability & Communication Manager, mi snocciola con giusto orgoglio i dati più importanti: rientra tra i primi 10 agenti IATA (l’unica a non essere una multinazionale) per merce movimentata via aerea, possiede alcuni camion propri, 4 magazzini, una cool-room per le merci che devono essere conservate a temperatura, la dogana interna e una macchina a raggi X, è certificata ENAC. Sono asset che le consentono di distinguersi in un mercato in cui, dice Camilla «basterebbero, volendo, un computer e un collegamento Internet per svolgere il lavoro mentre noi abbiamo deciso di portarci in casa una serie di servizi che fanno la differenza pur comportando costi fissi importanti». Così come fa la differenza la capacità di gestire quelle che vengono chiamate le spedizioni «fuori sagoma», cioè quelle che non possono essere containerizzate perché hanno dimensioni e peso eccezionali.

Tra gli asset dell’azienda rientrano anche camion con differenti dimensioni e capacità di carico.

«Abbiamo sviluppato competenze specifiche su particolari settori merceologici, per esempio il farmaceutico o il food-beverage, che esigono una catena del freddo costante con determinati livelli non solo di temperatura, ma anche di umidità, e tipi particolari di imballaggio. Oppure il fashion, campo nel quale il rispetto assoluto della tempistica di consegna così come una conservazione impeccabile dei capi trasportati sono fattori imprescindibili. O ancora la difesa, che include anche il trasporto di mezzi, corazzati e non, e in questo caso siamo tra i pochissimi operatori italiani al 100% a gestire certe spedizioni». Questa capacità di rispondere a richieste non usuali e non banali ha portato a una crescita importante dell’azienda che oggi muove circa 40.000 spedizioni all’anno su mercati che sono essenzialmente extraeuropei con Cina, Corea, India, Vietnam e Brasile come punte di diamante, anche se, sottolinea Camilla «stiamo avendo ottimi risultati anche sugli Emirati Arabi, Australia, Stati Uniti, Messico, Giappone e Thailandia».

Vector è stata tra i primi spedizionieri a investire in una macchina a raggi X per il controllo delle merci da imbarcare sui voli.

E dire che l’attività di spedizioniere non era esattamente nelle primarie ambizioni di Roberto Buttà, il padre di Camilla, che dopo aver iniziato un paio di facoltà universitarie aveva deciso di lasciar perdere la laurea. Ai trasporti ci era arrivato un po’ per caso: parlava molto bene l’inglese e questa skill lo aveva fatto assumere come centralinista in un’azienda di spedizioni internazionali. Il classico inizio dal basso, da cui parte una brillante avventura lavorativa: a 24 anni Roberto è già dirigente commerciale e una decina di anni dopo decide di mettersi in proprio. Poi nel 1990 la merge con Vector: «L’azienda, che all’inizio si occupava prevalentemente di trasporti terrestri su scala locale, era stata creata da cinque soci originari del territorio. Quando la compagine societaria ne perse due, il loro posto fu preso da mio padre e dal suo socio che apportarono un cambiamento deciso, più orientato all’internazionalità. Soprattutto mio padre ebbe l’intuizione di scegliere mercati, come la Corea, la Cina, l’India, che all’epoca non interessavano ai competitor orientati invece agli Stati Uniti: viaggiava molto, ha stretto forti relazioni commerciali con partner locali focalizzandosi sulle esportazioni aeree ed è così che la Vector ha cominciato a crescere». Nel corso del tempo Roberto ha acquisito le quote degli altri soci e oggi la holding di famiglia è proprietaria del 75% dell’azienda con la percentuale residua ancora in possesso dell’ultimo dei soci di partenza.

Scaffalatura mobile nel magazzino aereo.

Nei primi anni Duemila si affaccia il tema del cambio generazionale: «Mio padre – racconta Camilla – si avvicinava ai sessant’anni, era ancora giovane (è del 1957), ma si trovava in un momento di riflessione sul futuro, si chiedeva e ci chiedeva cosa volessimo fare tanto più che l’azienda ormai aveva raggiunto dimensioni importanti ed era arrivata una proposta di acquisto veramente allettante». Il primo a rispondere alla «chiamata» è il fratello di Camilla, Andrea Buttà, oggi CEO, che entra in Vector nel 2007/2008, poi – siamo nel 2011– è il turno di Camilla: «Il mio percorso iniziale è stato molto lontano dal business di famiglia. Mi ero laureata in scienze turistiche specializzandomi poi in cooperazione internazionale e turismo responsabile e sostenibile e le mie prime esperienze lavorative sono proprio state in quel campo, una delle più belle ha visto come scenario il Perù dove ho anche vissuto per un po’ di tempo, ma ho seguito progetti in varie parti del mondo, dall’Ecuador al Marocco, dal Senegal al Madagascar. Poi ho compiuto 30 anni e mi sono resa conto che il tipo di vita che conducevo difficilmente si sarebbe mai conciliata con altre progettualità che avevo, tra cui anche quella della maternità e così sono rientrata in Italia e ho fatto il mio ingresso in Vector». Inizialmente Camilla si occupa di commerciale e pricing, affiancando alle sue funzioni la responsabilità di attivare un percorso di Diversity & Inclusion, a quei tempi concetti ancora nuovissimi e sconosciuti ai più. Infine dal 2021, quando Vector è diventata Società Benefit, ha assunto il ruolo di responsabile d’impatto e della sostenibilità.

Andrea Buttà, CEO di Vector.

Già, sostenibilità. Ma quale? O meglio, in che senso, visto il campo in cui opera l’azienda? «Innanzitutto per me sostenibilità non è solo quella ambientale, un’azienda sostenibile è un’azienda che si dota di una strategia che le permette di durare nel tempo – chiarisce Camilla – e se vuoi durare nel tempo devi non solo avere cura delle tue risorse senza andare a esaurirle, ma anche analizzare i rischi in cui puoi incorrere e il loro possibile impatto sull’azienda e sulla realtà che la circonda per poterli prevenire. Ecco perché, a mio parere, in primis deve esserci una sostenibilità in termini economici e di governance». Il lavoro fatto proprio per rispondere a questa esigenza è stato importante: «Abbiamo creato una holding famigliare per tutelare il passaggio generazionale delle quote e ci stiamo organizzando nel caso in cui l’altro socio decida di liquidare le sue. Secondariamente, siamo passati da una gestione padronale a una managerializzata creando un organigramma efficace in termini di strutturazione e crescita dell’azienda. Abbiamo infine adottato il modello 231 per gestire preventivamente i rischi di reato e poter quindi evitare il blocco dell’azienda nel caso malaugurato che invece ne venga compiuto uno». Un lungo e non semplice iter che ha consentito di «mettere in sicurezza» l’azienda.

Sull’impatto ambientale, Camilla non svicola, al contrario è molto chiara e decisa: «È evidente che lavorando nel settore dei trasporti e movimentando merci, quell’impatto c’è. Tuttavia facciamo il possibile per mitigarlo. Vector ha iniziato questo percorso nel 2014 con il conseguimento della certificazione 14001, dal 2018 mappiamo le nostre emissioni dirette e indirette, queste ultime connesse con le spedizioni, e abbiamo attuato una strategia di riduzione e compensazione di quelle dirette, cioè le nostre. Acquistiamo solo energia rinnovabile, per i nostri camion utilizziamo il più possibile HVO, cioè un carburante diesel vegetale al 100%, abbiamo ridotto considerevolmente la quota di materie prime vergini acquistate, come carta e plastica, in favore di materiali da riciclo, gestiamo in modo responsabile sia gli scarti che i rifiuti che derivano dalle nostre persone». Camilla sottolinea che, grazie alla mappatura delle emissioni delle spedizioni, i clienti possono andare in compensazione e attuare delle strategie di riduzione. E se non possono rinunciare alla spedizione aerea Vector può aiutare a trovare delle modalità meno inquinanti: «Per esempio, se si sceglie un volo diretto anziché uno in transhipment, che implica due voli, abbatti già solo così il 30% di emissioni perché sono le fasi di decollo e di atterraggio le più emissive. Purtroppo però il mercato non è ancora del tutto sensibilizzato sul tema, la leva prezzo resta il driver più importante e visto che certe scelte impattano dal punto di vista economico è difficile che vengano attuate di default. Occorrerebbe che in un’azienda, quando si affrontano questioni che impattano sulla sostenibilità, ci si sedesse tutti attorno a un tavolo esplicitando le reciproche esigenze. Purtroppo difficilmente è così, chi si occupa di sostenibilità lavora in un ufficio, chi di logistica in un altro, il corporate finance sta in un altro ancora, senza un terreno comune di incontro ma soprattutto con obiettivi diversi da raggiungere».
Camilla è onesta quando sottolinea che anche in Vector a volte si manifestano le medesime dinamiche: «Io propongo delle azioni, ma poi capita che mi debba scontrare con necessità operative, con questioni legate ai costi, e perciò ai prezzi, che hanno la legittima finalità di “portare a casa” il lavoro». Ma in lei non c’è rassegnazione o adeguamento allo status quo, tutt’altro: «La situazione è questa, ma non ti ci devi adagiare. Devi fare formazione interna, devi aiutare i tuoi commerciali a parlare di tutte le diverse opzioni di spedizione ai clienti, che magari oggi non sono interessati, ma domani forse sì. È un percorso che va intrapreso».

Area BUP (Build Up Pallet) nel magazzino aereo.

In ogni caso, sottolinea Camilla, anche le compagnie aeree e marittime hanno degli obiettivi di sostenibilità da raggiungere e questo a poco a poco migliorerà il quadro: «Vengono rinnovate le flotte con velivoli dall’elevata fuel efficiency e con emissioni minori, si stanno studiando carburanti sostenibili destinati all’aviazione e sono in fase di sperimentazione motori a idrogeno, vengono ottimizzate le rotte e schedulati in modo efficiente partenze e arrivi per cui l’aereo non decolla se non ha già lo slot di atterraggio così da evitare di farlo girare in tondo in attesa del suo turno». Anche le nuove tecnologie vengono in aiuto: i nuovi aeromobili, racconta Camilla, sono a volte rivestiti di una sorta di pellicola, chiamata «pelle di squalo» perché ne imita le scaglie dermiche, che aumenta l’aerodinamicità riducendo la resistenza dell’aria e quindi il consumo di carburante.

Sulla sostenibilità sociale Camilla è un fiume in piena, tante sono le idee e le iniziative messe in campo nella sua azienda perché, specifica, «Il nostro è un lavoro molto impattante, ad altissimi livelli di stress, difficilmente coniugabile con il classico work-life balance, poco attrattivo perché, diciamolo, chi da piccolo pensa di fare lo spedizioniere quando sarà grande? E per di più non c’è una formazione scolastica specifica». In Vector perciò la formazione interna assume una grandissima rilevanza: «Già sappiamo, nel momento dell’assunzione, che quella persona avrà bisogno di un anno in affiancamento per diventare autonoma». Ma poi vengono organizzati, e si aggiungono al continuo aggiornamento, molti corsi di cui alcuni specifici – per esempio la gestione delle merci pericolose – e quindi destinati solo a una parte dei dipendenti, mentre altri sono trasversali e rivolti a tutti: «Sono soprattutto quelli che concernono le cosiddette soft skill, che noi preferiamo chiamare human skill perché più che soft a volte sono veramente hard, nel senso che sono indispensabili per lavorare bene, paradossalmente più che saper usare alla perfezione un foglio Excel». La formazione estesa copre i campi più vari: dalla gestione della complessità alla capacità di abbracciare il cambiamento alla flessibilità. E non dimenticano settori più legati alla vita privata come la genitorialità: «Abbiamo un gruppo interno, Mums & Dads, dal quale è partita una serie di richieste al consiglio di amministrazione legate essenzialmente a tre esigenze: la gestione dei figli durante le vacanze scolastiche quando le scuole sono chiuse ma i genitori lavorano, come far fronte ai costi che un figlio comporta e infine l’accesso a strumenti di informazione e crescita nel proprio ruolo genitoriale». Riguardo al primo punto è stato creato all’interno di Vector uno spazio polivalente, completo di giardino e gestito da alcune educatrici, al quale i dipendenti possono iscrivere i figli quando sono a casa da scuola: «Una piccola parte della retta è a carico dei genitori ma il più è pagato dall’azienda. È un’iniziativa che non solo tranquillizza gli interessati, ma è di sostegno anche ai loro colleghi perché, prima, chi ha famiglia si metteva in ferie durante le vacanze scolastiche penalizzando gli altri che dovevano sempre rinunciare alle feste “comandate”. Adesso c’è una situazione più equilibrata». La consapevolezza dell’impatto che l’arrivo dei figli ha sull’economia delle famiglie ha portato a una misura di welfare aziendale che prevede l’erogazione di mille euro alla nascita o all’adozione di un bambino. Altri duemila euro vengono destinati alle persone che, in congedo di maternità, facciano seguire immediatamente i tre mesi facoltativi. La somma viene erogata su una piattaforma molto ampia che abbraccia tutta una serie di servizi e beni e che può essere spesa anche per andare semplicemente in vacanza. In più è nato spontaneamente, ma incoraggiato dall’azienda, un mercatino interno di scambio di indumenti e accessori che si rivela prezioso per i genitori di bambini di tutte le età. Infine, lato formazione vengono organizzati incontri con psicologhe ed educatrici su temi che ruotano intorno all’educazione quali, per esempio, l’importanza delle regole, l’utilizzo della tecnologia da parte dei minori e le modalità di costruzione di un dialogo aperto con i figli.

Uno degli uffici interni dell’azienda.

Il tavolo di Diversity, Equity and Inclusion è stato istituito in Vector ancora prima, nel 2015: «Ogni anno il tavolo sceglie un gruppo di tematiche sulle quali lavorare dandosi degli obiettivi – spiega Camilla – In passato abbiamo parlato di parità di genere, di violenza sulle donne, di orientamento sessuale e transessualità, dei fenomeni migratori, negli ultimi tre anni abbiamo invece affrontato l’argomento delle disabilità. L’obiettivo è sempre quello di fare cultura, quindi andare ad abbattere i pregiudizi, soprattutto quelli inconsapevoli, anche attraverso l’organizzazione di eventi che possano impattare in modo positivo sulla comunità in cui siamo inseriti. Nel 2024 abbiamo per esempio organizzato una giornata con tutte le associazioni locali che si occupano di disabilità e con una serie di aziende sempre del territorio: il focus era il talento, nel confronto tra mondo dello sport e mondo del lavoro. Nello sport una persona con disabilità può esprimere il proprio talento, qualunque esso sia, estrinsecandolo nel modo migliore che gli è possibile. Nel mondo del lavoro non è così: il disabile viene parcheggiato, spesso senza dargli la possibilità di esprimere le proprie potenzialità che pure esistono. Perché si parla ancora tanto di assunzioni obbligatorie quando bisognerebbe invece trovare per ogni necessità la persona giusta, con o senza disabilità, e assumerla per i suoi talenti? Questa sarebbe la vera parità. Ed è questo il percorso sul quale vorremmo che ogni azienda si ponesse delle domande».

Una partita di rugby su sedia a rotelle, un evento di formazione organizzato da Vector nell’ambito Diversity & Inclusion (Loris Scalzo).

Ritrovo il medesimo atteggiamento pragmatico quando Camilla parla dell’inclusione di etnie diverse in azienda: «In Vector abbiamo più persone che provengono da Paesi diversi e che ricoprono ruoli apicali proprio per questo motivo. Per esempio la responsabile del mercato coreano è anch’essa originaria di lì perché chi meglio di lei può capire la cultura di un Paese così distante? È stata una scelta opportuna pure a livello linguistico. Anche in questo caso parliamo di un processo di inserimento naturale, senza forzature, quasi scontato». Da quanto sopra va da sé che Camilla non sia una fan sfegatata delle quote rosa di cui tuttavia riconosce l’importanza in termini generali pur sottolineandone anche i rischi che impattano su come la donna viene poi percepita: «Pensiamo alle grandi aziende quotate che hanno l’obbligo di una percentuale femminile nel consiglio di amministrazione. E che spesso devono avere al loro interno anche dei membri esterni. Bene, le statistiche ci dicono che una donna consigliera esterna in un CdA guadagna per questo incarico il 40% in meno rispetto a un suo collega uomo. Il motivo è che l’uomo viene fatto entrare sempre con il pensiero che potrà apportare un vantaggio o delle skill o un know how particolari invece la donna solo perché bisogna colmare la quota».

In Vector ci sono più donne che uomini a livello di organico, con ben tre direzioni su quattro «al femminile». Totale parità salariale, totale parità nei piani di carriera – «Siamo certificati per la parità di genere con un punteggio di 96 punti su 100» – ma non parlate a Camilla di leadership al femminile: «Non credo affatto che esista nei termini di maggiore gentilezza, di accoglienza più ampia, di empatia. Penso invece che ogni persona abbia il suo stile di leadership e che ogni “leader” o responsabile che sia dovrebbe sapere quando mostrare più autorevolezza e quando essere più empatico. Bisognerebbe mettere in campo l’uno o l’altro approccio a seconda delle situazioni». La presenza femminile in un campo «duro» come quello dei trasporti potrebbe sembrare un’incongruenza, ma in Vector non lo è perché l’azienda ha messo in campo tutta una serie di azioni per attutire l’impatto che questo lavoro ha sulla vita quotidiana: «Per ogni nostra persona abbiamo predisposto un percorso, scritto, di induction & retention e, in particolare, al rientro dal congedo parentale vogliamo che ci sia un momento dedicato all’aggiornamento da parte dell’HR e dei responsabili sulle trasformazioni che l’azienda o il reparto ha subito nel frattempo perché anche in un solo anno le cose cambiano tantissimo». E aggiunge sorridendo: «Più di una donna, al rientro dalla maternità, ha trovato una proposta di avanzamento di carriera».

Tante le misure per migliorare il work-life balance: «Se fossimo rimasti al modello di 7-8 anni fa probabilmente avremmo perso metà delle nostre persone… Allora si entrava alle 8.30, si finiva alle 12:30, si ricominciava alle 14:00 per finire alle 18:00. Si facevano un sacco di straordinari perché c’erano inefficienze di processo. Oggi il mondo, anche il nostro, è cambiato. Abbiamo introdotto il lavoro flessibile garantendo comunque il servizio ai clienti e lasciando ai vari team la libertà di organizzarsi. Lo smartworking è completamente sdoganato – sempre che il ruolo che si riveste lo consenta, «un magazziniere ovviamente non lo può avere» – e ciascuno decide, in accordo con il suo team, su quanti giorni vuole applicare questa modalità». Camilla ne è una fervente sostenitrice, ma sottolinea che per renderlo sempre più efficace occorrono consapevolezza e formazione, le stesse che stanno servendo, insieme a un’approfondita attività di analisi, per andare a snellire i processi, efficientarli eliminando le attività ripetitive che non portano valore aggiunto e far capire quanto e come il lavoro dei singoli impatti su chi viene dopo nella catena di processo.

Un momento di un’attività di formazione lean presso la LIUC di Castellanza.

Anche il tema dello straordinario è caduto sotto la scure di un pensiero più attuale: «Diciamo la verità: nel nostro Paese e nelle nostre aziende un tempo si facevano gli straordinari da un lato perché erano economicamente vantaggiosi dall’altro perché la quantità dello straordinario veniva correlata con la bontà del dipendente, cioè “sei un bravo lavoratore perché fai tanti straordinari, si vede che ci tieni al lavoro”. Da noi abbiamo cercato, nel tempo, di superare questi concetti: come lavoratore dovresti poter finire ciò che devi fare entro le otto ore giornaliere e se, al netto di imprevisti e urgenze legate alla tipologia del nostro lavoro, questo non succede significa che ci sono questioni da attenzionare, come un team sottodimensionato, una suddivisione del lavoro errata, processi poco efficaci. In ogni caso ci deve essere un approfondimento della situazione». Grazie a questo approccio gli straordinari sono calati. Senza contare che le giovani generazioni, a parere di Camilla, sono meno interessate a farli, al termine delle ore canoniche di lavoro vogliono andare a casa e dedicarsi ad altro.
Da quanto detto finora risulta tangibile quanto l’azienda sia cambiata negli ultimi anni e quanto ancora sia aperta ad altre trasformazioni senza alcuna ansia: «È caratteristica, anzi compito, di ogni organizzazione essere mutevole e flessibile, adattiva e resiliente, ma soprattutto anticipatrice: devi pre-vedere il cambiamento che arriva, cioè vederlo da lontano e anticiparlo, non farti travolgere dall’onda».

Tornando al tema dei giovani, Camilla sa che il settore della logistica non è particolarmente attrattivo, per di più offre stipendi – stiamo parlando del contratto nazionale di categoria – poco interessanti, soprattutto se messi a confronto con quelli che invece mette in campo il mercato svizzero che in effetti drena non poche risorse (e dall’altra parte c’è il territorio del Milanese che offre invece altri richiami), e queste difficoltà anche Vector le incontra nel momento in cui deve reclutare nuove persone. Però i curricula che arrivano, non solo dalle superiori ma anche dalle università, non sono pochi e Camilla ne attribuisce il merito alla natura dell’azienda: «Vector adesso è un progetto con tanto “in pancia”, non ultimo il fatto di essere diventati Società Benefit ed è questo che attrae i giovani». E chi entra resta: «Abbiamo un’ottima retention: nel nostro settore nel quale il turnover si aggira intorno al 20%, noi siamo fermi al 5%», con un’età media davvero giovane, 34 anni». Senz’altro giovano anche i proficui rapporti che Vector ha instaurato con il mondo della scuola, con le superiori attraverso l’organizzazione periodica di visite guidate dei ragazzi in azienda e l’alternanza scuola-lavoro, e con l’Università (La LIUC è a un tiro di schioppo) tramite stage e tirocini formativi.

Intervento di Camilla e Andrea Buttà alla Sda Bocconi.

Come si arriva alla decisione di diventare Società Benefit? Quali sono le motivazioni che hanno spinto Vector ad abbracciare questo modello di impresa? La risposta è semplice: dipende tutto dai valori che hai già dentro di te. Sentiamolo direttamente da Camilla: «Quello che noto è che negli ultimi quindici anni, soprattutto con l’avvento dell’Agenda 2030 e i suoi obiettivi di sviluppo sostenibile, le aziende, in primo luogo quelle grandi, hanno preso una crescente consapevolezza dell’impatto e delle responsabilità che hanno. Un bravo imprenditore non può più prescindere da questi aspetti, può accoglierli perché ci crede per davvero oppure banalmente perché le conseguenze delle sue azioni ricadono su di lui: se tratti male le tue persone, queste se ne andranno, se inquini pagherai delle multe salate, se non ti adegui i tuoi clienti passeranno alla concorrenza oppure le banche non ti finanzieranno. Le motivazioni alla sostenibilità possono essere le più varie e ogni azienda ha le sue. L’importante è che lo si faccia, perché adesso è veramente urgente. Poi, per quanto concerne Vector, il tema valoriale ha fatto la differenza. I nostri valori sono fondamentalmente quattro: la persona giusta al posto giusto, quindi tutto il tema del riconoscimento del talento e della sua valorizzazione attraverso la crescita all’interno dell’azienda; l’accountability nei confronti degli stakeholder che significa attivarsi per generare un impatto positivo sull’ambiente e la società; essere agenti di cambiamento con proattività e intraprendenza; prendersi cura delle proprie persone, dei clienti e dei fornitori e della comunità intera ed esterna. Ecco, sono qualità che ci rispecchiano, diventare Società Benefit è stato un modo per esprimerle a un livello più alto».

Le azioni che Vector ha intrapreso e porta avanti nel campo dello sviluppo sostenibile ha fruttato nel 2023 un riconoscimento prestigiosissimo: l’SDG Pioneer, promosso dal Global Compact delle Nazioni Unite, che individua e premia i business leader più impegnati nell’avanzamento dell’Agenda 2030 e dei suoi 17 obiettivi («di questi 8/9 sono proprio al centro della nostra strategia, sugli altri comunque collaboriamo con altre associazioni o comunque facciamo promozione e informazione» sottolinea Camilla). È un premio che si è aggiunto ad altri, come il Sustainability Award promosso da Credit Suisse e Kone conferito nel 2022 all’azienda come «best company in Italy (< 250 millions) in Strategy & Vision», e dal 2020 il Woman Value Company di Intesa San Paolo per la Fondazione Marisa Bellisario che ogni anno seleziona le PMI che valorizzano il talento femminile e per le quali la parità di genere e il welfare rappresentano obiettivi sui quali investire.

Nel 2023 Camilla Buttà è stata insignita del premio SDG Pioneer del Global Compact Italia.

E a proposito di obiettivi, qual è il prossimo nell’agenda di Camilla? «Riuscire a portare on board i nostri clienti, facendo loro abbracciare i nostri obiettivi di sostenibilità, anzi diventare proprio per questo motivo attrattivi nei confronti del mercato. È questa la vera sfida».

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